Il pontefice, in un incontro al centro Astalli, ha sostenuto l'idea di riutilizzare i monasteri non più in uso per ospitare i profughi in cerca di un riparo. Queste strutture, ha aggiunto Bergoglio, non servono alla Chiesa per essere trasformate in alberghi e per guadagnare altri soldi
“A cosa servono alla Chiesa i conventi chiusi? I conventi dovrebbero servire alla carne di Cristo e i rifugiati sono la carne di Cristo“. A dirlo è papa Francesco, durante il suo discorso nel centro Astalli, gestito dai Gesuiti per ospitare i migranti. “I conventi vuoti non servono alla Chiesa per trasformarli in alberghi e guadagnare i soldi”, ha aggiunto il pontefice.
La visita al centro, dove Francesco è arrivato senza scorta, si è svolta in forma riservata, senza la presenza di cameramen e giornalisti. Dopo avere salutato i presenti alla mensa, papa Bergoglio ha incontrato una rappresentanza degli ospiti del centro, acuin ha rivolto un personale ringraziamento: “Grazie, perché difendete la vostra e la nostra dignità umana” . “I conventi vuoti non sono nostri”, ha poi aggiunto, “sono per la carne di Cristo che sono i rifugiati”. “Il Signore chiama a vivere con generosità e coraggio la accoglienza nei conventi vuoti” ha proseguito Francesco. “Certo non è qualcosa di semplice, ci vogliono criterio, responsabilità, ma ci vuole anche coraggio”. Il pontefice ha voluto insistere sullo spirito di povertà della Chiesa che sta caratterizzando il suo mandato: “Facciamo tanto, forse siamo chiamati a fare di più, accogliendo e condividendo con decisione ciò che la Provvidenza ci ha donato per servire”.
Il papa ha poi invitato i presenti ad andare oltre alla semplice elemosina: non basta garantire a ciascuno “un panino”, ma occorre accompagnare con gesti concreti il percorso di integrazione di immigrati, profughi e rifugiati. “Per tutta la Chiesa è importante che l’accoglienza del povero e la promozione della giustizia non vengano affidate solo a degli specialisti” ha spiegato Bergoglio, per cui una particolare attenzione nei confronti dell’indigenza dovrebbe essere propria di “tutta la pastorale, della formazione dei futuri sacerdoti e religiosi, dell’impegno normale di tutte le parrocchie, i movimenti e le aggregazioni ecclesiali”.