In un’epoca in cui tutti i confini politici ed economici della terra sono diventati praticamente permeabili a tutto, è diventato d’obbligo, un po’ a tutti i livelli, occuparsi di macro-economia, e facendolo diventa praticamente impossibile non vedere anche i macro-errori fatti nel passato recente da molti economisti che hanno avuto, e in molti casi hanno ancora, la responsabilità delle scelte che guidano l’economia dei propri paesi.
Ad alzare il tiro delle critiche è un economista del calibro di Paul Krugman, premiato col Nobel nel 2008 proprio per i suoi approfonditi studi di macro-economia nel sempre piu ampio, diffuso e incontrollato flusso di denaro e merci tra le varie economie del mondo.
E cosa dice Krugman nel suo articolo del 29 agosto sul New York Times? Fa una critica sostanzialmente al “vetriolo” a tre personaggi che sono stati al vertice dell’economia americana per diversi anni: Alan Greenspan, presidente della Federal Reserve americana tra il 1986 e il 2004; Robert Rubin, a capo del Tesoro americano tra il 1995 e il 1999; e Lawrence Summers, a quel tempo vice di Rubin e poi suo successore nell’importante incarico fino al 2001. A mettere insieme i tre, in una copertina che può esser definita storica, è stata la prestigiosa rivista Time il 15/2/1999 che ha addirittura titolato il servizio in onore dei tre “Il trio che ha salvato il mondo”.
“Altro che salvato il mondo”, dice Krugman, quei tre sono proprio i principali responsabili delle gravissime crisi che stanno, come ondate gigantesche, sconvolgendo a turno tutte le economie del mondo. Il perché di questo giudizio controcorrente di Krugman è presto detto. Quei tre hanno combattuto le crisi finanziarie degli anni ’80 e ’90 intensificando gli scambi commerciali e finanziari con le altre economie globali, specialmente quelle del cosiddetto “terzo mondo”, ma lo hanno fatto eliminando praticamente tutte le barriere e i controlli che regolavano la materia.
Il risultato immediato è stato positivo, dato che i forti flussi di scambio hanno immediatamente rilanciato le economie dei paesi industrializzati, ma nel giro di pochi anni si è innescata quella che potrebbe essere definita la reazione di rigetto. Le principali banche sono diventate troppo grandi, e troppo poco capitalizzate, rendendo così impossibile (come dettano le regole di mercato) la via del fallimento quando, nei momenti di forte crisi dei mercati, il capitale netto della banca, unitamente alle riserve, non è piu in grado di coprire le perdite accumulate.
Nello stesso tempo sono state spalancate le porte ad ogni tipo di azzardo e speculazione in borsa togliendo di fatto alle borse quel “termometro” delle economie che era stato uno dei principali fattori nella crescita del libero mercato per tutta la seconda metà del secolo scorso.
Dopo le crisi americana ed europea, non ancora risolte, è ora già venuto il tempo per le crisi indiana e cinese? Si chiede Krugman. Qualcuno paragona la crisi indonesiana del 1998 a quella greca dei giorni nostri ma, dice Krugman, non c’è paragone tra le due crisi. Prima di tutto perché l’Indonesia disponeva di una propria moneta e, lasciandola deprezzare ha consentito in una paio di anni di avviare una solida ripresa.
La Grecia invece non ha questa possibilità, essendo ancorata alla moneta euro dove non ha alcuna possibilità di optare per una sua svalutazione. In secondo luogo, è sempre Krugman a dirlo, perché nella crisi indonesiana gli organismi di cooperazione economica internazionale, cioè il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, pur imponendo all’inizio provvedimenti severi per ottenere la concessione degli aiuti economici, non hanno poi imposto le severissime regole di austerity che ora vengono imposte dalle autorità mondiali ed europee alla Grecia e ad altri paesi (tra cui l’Italia, ndr).
Krugman tranquillizza fortunatamente un poco sulla possibilità che la nuova crisi indonesiana possa ricalcare quella del 1990 dato che il debito verso l’estero dell’Indonesia di oggi, grazie ai maggiori investimenti provenienti dall’estero, pesa molto meno, e l’attuale discesa del valore della rupia attirerà in breve nuovi investitori.
Non ci può perciò essere alcuna analogia né tra la crisi indonesiana degli anni ’90 né tantomeno con quella greca di oggi. Il vero pericolo, secondo Krugman, anche se la Cina lo preoccupa più dell’Indonesia, non arriva da Oriente.
Il pericolo arriva dalle riforme di liberalizzazione fatte negli anni ’90 a cui non si riesce a porre rimedio e che in poco più di dieci anni stanno creando le condizioni per l’avvio di una crisi globale senza precedenti.