Le fondazioni bancarie possono contribuire a rendere il nostro sistema di intermediazione finanziaria più funzionale alla crescita delle imprese e degli investimenti. A patto di non ostinarsi a mantenere il controllo delle banche conferitarie, mettendo a rischio solidità reddituale e patrimoniale.
di Carlo Milani e Andrea Ricci (Fonte: lavoce.info)
Qual è il ruolo delle fondazioni?
Il ruolo delle fondazioni di origine bancaria nella governance degli istituti di credito italiani è tornato al centro del dibattito economico. Le fondazioni possono costituire infatti una leva importante attraverso cui avviare un processo di riforma del sistema di intermediazione finanziaria nel nostro paese, per renderlo più funzionale alla crescita delle imprese e degli investimenti soprattutto nei settori della “nuova” economia. A questo proposito, il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, nel sottolineare il ruolo che le fondazioni hanno avuto nella stabilità del nostro sistema finanziario all’apice della crisi finanziaria, ha però anche evidenziato come i tempi siano oramai maturi per rivederne il ruolo. (1)
Diverse sono infatti le criticità che contraddistinguono il mondo delle circa novanta fondazioni attualmente operanti in Italia. Primo fra tutti, il fatto che sono tuttora le principali azioniste delle banche conferitarie, nonostante la legge prevedesse una loro graduale fuoriuscita dal capitale delle stesse. (2)
Come si rileva dalla tabella 1, l’incidenza della partecipazione conferitaria nel complesso delle fondazioni è ancora pari a circa il 40 per cento del totale dell’attivo, secondo i dati relativi al 2012. Si può osservare come rispetto al periodo pre-crisi l’incidenza sia andata aumentando, soprattutto come conseguenza del depauperarsi delle altre attività detenute dalle fondazioni. Nel dettaglio per dimensione delle fondazioni si può riscontrare come l’incidenza più alta riguardi quelle più grandi, le fondazioni che a loro volta detengono partecipazioni nei gruppi bancari di maggiore dimensione.
Tabella 1. Fondazioni bancarie: incidenza della partecipazione conferitaria (in % del totale attivo)
La concentrazione, posta la difficoltà delle banche italiane di generare utili e staccare dividendi, ha fatto precipitare i rendimenti degli investimenti delle fondazioni, rispetto anche a benchmark di portafogli “a rischio zero”, mentre le ha sovraesposte ai rischi che si sono poi materializzati negli ultimi due anni. Il Roe è passato da un livello medio del 7 per cento del periodo 2006-07 all’1,1 per cento del 2011 e al 2,5 per cento dello scorso anno.
Cosa dice la legge
La volontà delle fondazioni di mantenere una partecipazione rilevante nella banca conferitaria, anche a discapito della solidità reddituale e patrimoniale (indicativo il caso della Fondazione Monte Paschi, che si è fortemente indebitata per partecipare all’aumento di capitale in Mps, è ben colta dalla tabella 2, in cui è riportata l’incidenza delle passività diverse dal patrimonio sul totale dell’attivo, nettamente cresciute negli ultimi anni. La maggiore incidenza dei debiti è avvenuta in un quadro in cui il patrimonio è diminuito di oltre il 10 per cento dal 2006 al 2012, passando da 47 a circa 42 miliardi di euro.
Tabella 2. Fondazioni bancarie: incidenza delle passività diverse dal capitale (in % del totale attivo)
Fonte: nostre elaborazioni su dati Acri.
Tutto ciò avviene in palese contrasto rispetto al ruolo e agli obiettivi che la legge riconosce all’azione delle fondazioni. La legge vigente richiede, infatti, alle fondazioni di attenersi al principio della conservazione del loro patrimonio che deve essere amministrato osservando “criteri prudenziali di rischio, in modo da conservare il valore e ottenere una redditività adeguata” (articolo 5 decreto legislativo 153/1999). Inoltre, la legge richiama il principio della diversificazione degli impieghi (articolo 2, lettera c, legge 461 del 23/12/1998) con l’uscita dal capitale della banca conferitaria. Per questo venivano previsti anche incentivi fiscali, rivelando la chiara volontà del legislatore di separare le fondazioni dalle banche. La legge è altrettanto chiara nell’incoraggiare la concentrazione delle aree di intervento delle fondazioni, definendo al massimo “tre settori rilevanti” (articolo 11, comma 2 della “legge Tremonti”). Quindi né l’opzione di indebitarsi per capitalizzare la banca di riferimento, né l’opzione di interventi “variegati” e generalizzati a favore della comunità sono coerenti con lo spirito della legge.
In definitiva, i dati più recenti non mostrano inversioni di tendenza nella gestione e operatività delle fondazioni bancarie, il che giustifica i richiami fatti sia dalla Banca d’Italia sia dal Fondo monetario internazionale. Infatti, per rendere il nostro sistema finanziario più solido e più adatto a rispondere alle esigenze del tessuto produttivo è fondamentale il miglioramento della sua governance e una maggiore apertura ai mercati.
(1) Si veda al riguardo l’intervento del Governatore della Banca d’Italia presso l’assemblea dell’Associazione bancaria italiana del 10 luglio 2013. Sulla stessa linea si è posizionato anche il Fondo monetario internazionale.
(2) Si veda anche Filtri A. e A. Guglielmi, (2012), “Italian Banking Foundations”, Mediobanca Securities.
Carlo Milani: Economista presso il Centro Europa Ricerche (CER). Svolge prevalentemente la sua attività di ricerca nel campo del banking, ambito nel quale ha pubblicato diversi studi su riviste nazionali e internazionali. E’ inoltre esperto di modelli econometrici utilizzati per la previsione e la simulazione di scenari macroeconomici. Per molti anni ha lavorato presso l’Ufficio Studi dell’Associazione Bancaria Italiana (ABI). E’ stato visiting researcher presso la London School of Economics (LSE). Twitter @MilaniC
Andrea Ricci: Laureato in Economia Politica presso l’Università “L. Bocconi” di Milano, ha conseguito il Master e il Dottorato in Economia presso l’ Università di Roma “Tor Vergata”. E’ membro di progetti di ricerca nazionali e internazionali e ha pubblicato una serie di saggi e articoli scientifici riguardanti l’analisi analisi del mercato del lavoro, del sistema produttivo e delle relazioni industriali. In particolare la sua attività di ricerca si concentra sull’applicazione dei metodi econometrici per la valutazione delle politica economica. Attualmente è ricercatore in ISFOL.