Immagino che questi che vogliono fare le Olimpiadi del 2024 in Italia siano gli stessi che da una decina d’anni non riescono ad approvare una legge sugli stadi, gli stessi che hanno dovuto dimezzare il progetto dell’Expo di Milano perché non c’erano più tempo e soldi per fare quasi niente, gli stessi che hanno venduto a Roma l’idea di una città dello Sport che nessuno ha mai visto, gli stessi che hanno fatto le piscine dei Mondiali di nuoto mai entrate in funzione o la mitica stazione ferroviaria dei Mondiali ’90 sulla Flaminia, quella mai aperta perché la galleria risultò più stretta dei treni, gli stessi che convinsero il Campidoglio a battersi per un Gran Premio di formula uno nella Capitale senza dirgli che era tecnicamente irrealizzabile.
A vedere le mappe che trasmettono con zelo ai quotidiani, Roma è tutta un pullulare di grandi ed efficientissimi impianti, e non uno che si ricordi che quando piovve per un paio di giorni di seguito la metà finirono sotto il fango, irraggiungibili e impraticabili.
Non so a Milano, ma a Roma le società che lavorano con i giovani – in qualsiasi sport, dal rugby al pattinaggio – si disputano gli spazi col pugnale fra i denti, e questi – quelli del “candidiamoci alle Olimpiadi” (destra, sinistra, centro, in una straordinaria unità di intenti) – parlano di navigabilità del Tevere, stadio di Calatrava, metropolitane di superficie nuove, e ovviamente di ristrutturazione del Foro Italico, che ormai è diventato la pattumiera degli ultras e degli skaters, salvo le aree privatizzate da Veltroni ove ai comuni cittadini è interdetto l’ingresso.
Sono così convinti che già si disputano la spartizione delle gare: il golf all’Olgiata, gli atleti a Tor di Quinto o forse al Labaro (chissà di chi sono i terreni), i giornalisti in un nuovo palazzo da costruire a Saxa Rubra che poi ci facciamo la casa dello studente (quella che c’era se la sono venduta insieme al tennis e alle piscine del Foro Italico). Non mancano i dettagli surreali: la scherma, cioè lo sport che ci ha dato più soddisfazioni, medaglie e tifo, questi geni la deporterebbero alla Nuova Fiera di Roma, cioè il complesso più brutto nato nella Capitale nell’ultimo mezzo secolo, un falansterio di cemento dove l’evento meglio pubblicizzato sono le mostre mercato di gatti.
“Quasi tre miliardi di opere – giurano – saranno da destinare alle infrastrutture urbane e di mobilità, che resterebbero in dote ai romano”. Ma non le sentono le risate della città? Lo sanno che a Roma metà delle scuole non hanno una palestra, che l’iscrizione di un ragazzo a qualsiasi corso sportivo costa 700 euro l’anno, che lo sport è diventato un privilegio da benestanti, dopo essere stato per un secolo lo strumento di promozione di chi aveva pochi soldi ma carattere e voglia di farcela? E come pensano di convincerci che il “sogno olimpico” possa essere il sogno di una città, o di un Paese, e non solo quello della cricca che già sta facendo correre le calcolatrici?