Un nuovo maxisequestro ai danni della famiglia Riva. La guardia di finanza di Taranto ha sequestrato nelle scorse ore beni mobili, immobili e conti correnti per un ammontare di quasi un miliardo di euro. Nel mirino delle fiamme gialle sono finite oltre dieci società collegate alla holding Riva Fire – che controlla Ilva spa – e di fatto riconducibili agli imprenditori lombardi. Tra queste i finanzieri, al comando del colonnello Savatore Paiano e dal maggiore Giuseppe Dinoi, hanno apposto i sigilli ai beni di Riva Energia, Riva Commerciale e Riva Servizi Marittimi. Un altro miliardo di euro, quindi, che si aggiunge ai quello già sequestro nei mesi scorsi dopo il provvedimento firmato dal gip Patrizia Todisco. Sale così a due miliardi il tesoro bloccato dalle fiamme gialle tarantine alla capofila del Gruppo Riva, i cui vertici e proprietari sono indagati per associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale, avvelenamento di sostanze alimentari e omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro.
Il lavoro degli inquirenti continua, ma appare altamente improbabile che la Guardia di finanza di Taranto riesca a raggiungere la somma di 8 miliardi disposta dal gip Todisco come totale delle somme che i Riva avrebbero dovuto investire dal 1995 a oggi nella fabbrica per rendere gli impianti ecocompatibili. Una somma stimata dai custodi giudiziari Barbara Valenzano, Emanuela Laterza, Claudio Lofrumento e Mario Tagarelli al termine di una serie di controlli e sopralluoghi svolti nella fabbrica insieme ai carabinieri del Noe di Lecce, guidati dal capitano Nicola Candido. Un costo che tuttavia non comprende le bonifiche di acqua e suoli, stime che secondo la magistratura tarantina potranno essere calcolati solo dopo la valutazione dei danni reali al territorio. Il provvedimento, inoltre, su esplicita richiesta del pool di inquirenti composto dal procuratore Franco Sebastio, dall’aggiunto Pietro Argentino e dai sostituti Mariano Buccoliero, Giovanna Cannarile e Remo Epifani, prevede il sequestro di denaro, conti correnti, quote societarie nella disponibilità della società Riva Fire, ma lascia fuori la fabbrica di Taranto e i beni riconducibili alla società di Ilva spa necessari per la produzione garantita dal primo decreto “salva Ilva” voluto dall’ex ministro Corrado Clini.
Nel decreto di sequestro per equivalente emesso a maggio, il gip Todisco spiegò che il “modello aziendale” è stata la “concausa” della morte di Claudio Marsella, Francesco Zaccaria e Ciro Moccia. I tre operai dell’acciaeria Ilva di Taranto morti nel giro di pochi mesi erano morti anche perché dal 1995 a oggi la proprietà e i vertici aziendali hanno evitato di ammodernare la fabbrica che oggi genera “malattia e morte”. Oltre 8 miliardi, secondo il magistrato, è “l’importo necessario per effettuare tutte le opere di risanamento ambientale” che ancora oggi la famiglia Riva dimostra di non voler realizzare in barba soprattutto ai numerosi protocolli di intesa firmati con le istituzioni locali e nazionali che i pm hanno definito un “colossale presa in giro”. A questi due miliardi, si aggiungono inoltre, i quasi due miliardi di euro sequestrati agli imprenditori lombardi dalla Procura di Milano, che è riuscita a scoprire un vero e proprio tesoro occultato nel paradiso fiscale dell’isola di Jersey attraverso una serie di società offshore riconducibili a Emilio Riva, al fratello Adriano e ai figli di questi.