Gli operai che hanno perso la vita sul lavoro durante il sisma del 2012 avrebbero potuto salvarsi se le strutture fossero state costruite a norma. A dirlo, i giudici nelle conclusioni del secondo filone di indagine a Ferrara. Alla lista di indagati resa nota il giugno 2013, si aggiungono cinque persone
Gli operai rimasti sepolti nelle macerie dei capannoni di Sant’Agostino e di Dosso, in provincia di Ferrara, si potevano salvare. Se solo i tetti dei capannoni fossero stati fissati con i dovuti collegamenti. E non semplicemente appoggiati, cemento su cemento. Sono le conclusioni cui è giunto il secondo filone di indagine della procura estense sulle morti degli operai in seguito alla scossa di terremoto del 20 maggio.
Il primo filone si era chiuso con l’avviso di conclusione indagini firmato dal sostituto procuratore Nicola Proto, con quattro indagati per la morte di Tarik Naouk, schiacciato dal cedimento del tetto dell’Ursa.
Ora arrivano i nomi anche delle altre inchieste collegate. Una lista di cinque persone, che assottiglia di molto il primo elenco stilato all’indomani della perizia disposta dalla magistratura, che iscrisse nel registro degli indagati 28 persone (per permettere il compimento di atti difensivi). Ora la busta verde comprende l’ipotesi di omicidio colposo per le morti di Nicola Cavicchi e Leonardo Ansaloni della Ceramica Sant’Agostino e di Gerardo Cesaro di Tecopress.
Per quanto riguarda il primo caso, il pm Alberto Savino chiama a rispondere Bruno Luigi Formigoni, 64enne di Magnacavallo (Mn), progettista e calcolatore delle strutture prefabbricate in cemento armato e delle fondazioni dell’edifico crollato, dipendente della ditta Tuzzi di Poggio Rusco (Mn) e Andrea Govoni, 57enne di Cento, progettista deputato alla concessione edilizia e dipendente della Ceramica Sant’Agostino.
Per loro la procura individua la colpa di non aver disposto un collegamento tra gli elementi della copertura dell’edificio e tra le travi e i pilastri, ritenendo “sufficiente il montaggio di elementi pesanti in semplice appoggio”. In sostanza la stabilità generale dell’intero edificio era affidata al mero peso del cemento su cemento con l’interposizione di una piastra in neoprene. L’erronea costruzione ha impedito, secondo il pm, che si verificasse il cosiddetto effetto diaframma, che avrebbe rallentato il cedimento della struttura per il tempo sufficiente agli operai di mettersi in salvo.
Quanto alla Tecopress gli indagati sono Modesto Cavicchi, 65enne di Cento, ingegnere collaudatore dell’opera, Dario Gagliandi, bresciano di 59 anni, ingegnere progettista, calcolatore e direttore dei lavori per le fondazioni della struttura prefabbricata di Dosso, e Antonio Proni (raggiunto dal 415bis proprio nel girono del suo 83° compleanno), centese residente a Cervia (Ra) progettista generale e direttore dei lavori del fabbricato.
Il primo ha redatto il documento di progettazione con riferimento a una normativa ormai obsoleta, omettendo così – sempre secondo la procura – di adeguare il progetto alla norma tecnica successiva (che prevede l’obbligo di verifica delle forcelle di vincolo alle travi e la verifica del comportamento dell’edificio rispetto a fenomeni di collasso a catena). Una mancanza che non permise di valutare adeguatamente il grado di stabilità della struttura. Il rinforzo delle forcelle avrebbe permesso di posticipare il crollo dell’edificio.
Dal canto suo, Proni fece suo il progetto di Gagliandi, senza accorgersi che questi aveva omesso di adeguare il progetto alle nuove norme edilizie, e a sua volta non dispose un collegamento tra tetto e pilastri. Cavicchi, invece, in qualità di collaudatore, è accusato di aver omesso di rilevare sia le violazioni del progettista della struttura prefabbricata che del progettista generale, non verificando le operazioni di calcolo né la corrispondenza alla normativa vigente.