Le due aziende italiane che si rifornivano nei laboratori tessili in cui sono morti oltre 1300 operai non hanno risposto all'invito delle organizzazioni a sedere ad un tavolo e parlare dei rimborsi alle famiglie delle vittime. "La persona che si occupa della questione è in viaggio ed è difficile contattarla" fanno sapere dalla griffe veneta
Non hanno risposto. Questa mattina a Ginevra si è cominciato a discutere dei risarcimenti per le vittime delle due stragi sul lavoro che hanno sconvolto il Bangladesh nell’ultimo anno: il rogo nella fabbrica tessile della Tazreen Fashion Limited e il crollo del complesso manifatturiero del Rana Plaza, entrambi nella capitale Dacca. Loro, Benetton Group e Piazza Italia, le due aziende italiane che si rifornivano in quei laboratori in cui la manodopera costa poco, le t-shirt niente e la vita umana ancora meno non hanno risposto all’invito delle organizzazioni a sedere ad un tavolo e parlare dei risarcimenti per le famiglie degli operai morti. Oggi e domani a Ginevra, sotto la supervisione dell’International Labour Organization, incrociano gli sguardi il sindacato internazionale IndustriALL Global Union e i rappresentanti delle 12 aziende che hanno deciso di assumersi le loro responsabilità: dalla britannica Primark alla francese Camaieu, dalla tedesca Kik Textilien alla canadese Loblaw. Dodici sulle 41 cui il sindacato e la Clean Clothes Campaign avevano lanciato l’appello. Per discutere dei 58 milioni di euro che dovrebbero risarcire le famiglie delle oltre 1.200 vite perse nelle due tragedie.
In Italia gli inviti erano arrivati a due società: Benetton e Piazza Italia. Capi con l’etichetta verde acceso della multinazionale veneta erano stati rinvenuti tra le macerie del Rana Plaza, il palazzo di 8 piani sede di decine di laboratori tessili che il 24 aprile si era sbriciolato a Savar, 25 km a nord est di Dacca, uccidendo almeno 1.133 lavoratori, morti per uno stipendio medio di 410 dollari l’anno. E Piazza Italia era tra gli acquirenti dei capi cuciti nella Tazreen Fashion Limited, fabbrica tessile distrutta il 24 novembre 2012 da un incendio che causò 112 vittime. Gli inviti erano partiti settimane fa. Ai marchi era stato chiesto di confermare la propria presenza entro venerdì 6 settembre. Benetton e Piazza Italia hanno risposto con il silenzio e non sono sulla lista dei partecipanti. Perché la griffe degli United Colors non ha aderito all’invito? “Guardi – la risposta che arriva da Ponzano Veneto, quartier generale della multinazionale – la persona che si occupa della questione è in viaggio ed è difficile contattarla. Le faremo sapere al più presto”.
Di solito, però, Benetton ci mette un po’. Nei giorni successivi alla tragedia il gruppo veneto fornì 4 versioni diverse sui propri rapporti con i laboratori crollati. Il 24 aprile, giorno in cui il Rana Plaza si sbriciolò, Ponzano Veneto smentiva con una nota le prime voci sulla presenza di suoi capi tra le macerie: “Nessuna delle manifatture è fornitrice di Benetton”. Pochi giorni dopo, il 29 aprile, di fronte alle foto dell’Associated Press che mostravano al mondo come Benetton si rifornisse in quelle fabbriche, arrivavano le prime ammissioni: “Un ordine è stato completato e spedito da uno dei produttori coinvolti diverse settimane prima dell’incidente”. Il 30 aprile il numero degli ordini era già salito di un’unità: “Abbiamo verificato che quantomeno un ordine in passato c’è stato, forse due”. Il 7 maggio arrivava la quarta versione: “Un fornitore estero dell’azienda aveva occasionalmente subappaltato ordini a uno di questi laboratori”.
Ora ignora chi chiede giusti risarcimenti per le vittime, eppure il 15 maggio il gruppo italiano aveva firmato l’Accordo per la sicurezza degli edifici e la prevenzione degli incendi in Banglades. Promosso da Clean Clothes Campaign, ong con sede ad Amsterdam, l’intesa prevede “ispezioni indipendenti negli edifici, formazione dei lavoratori sui loro diritti, informazione pubblica, l’obbligo di revisione strutturale degli edifici e obbligo per i marchi internazionali di sostenere i costi e interrompere le relazioni con le aziende che rifiuteranno di adeguarsi”. H&M, Inditex, PVH, Tchibo, Primark, Tesco, C&A, Hess Natur erano stati tra i primi a firmare il protocollo prima della multinazionale veneta. Che questa volta ha deciso di chiudere occhi e orecchie, nonostante 54 milioni di dollari da dividere tra 41 aziende siano davvero poca cosa per una un impero che va dalle t-shirt, alle autostrade e agli aeroporti e che ha chiuso l’anno fiscale 2011 a quota 2 miliardi di euro di fatturato.
Perché le aziende italiane non sono a Ginevra? “E’ sconcertante – spiega Deborah Lucchetti, coordinatrice della Campagna Abiti Puliti, branca italiana della Clean Clothes Campaign – Non capisco come Benetton, che ha capito l’importanza della questione firmando l’accordo, ora si sottragga alla costituzione del fondo. A differenza di Piazza Italia, che non ha nemmeno firmato”. E’ possibile che i due marchi risarciscano le famiglie delle vittime attraverso altre procedure? “Sarebbe un’occasione persa: sì, potrebbero decidere di farsi appoggiare da una ong e proporre dei risarcimenti. Ma non sarebbe la stessa cosa: i risarcimenti sarebbero beneficenza, non frutto di una conquista sociale, del riconoscimento di un diritto“.
Riceviamo e pubblichiamo da Piazza Italia la seguente richiesta di rettifica
Piazza Italia non ha alcuna responsabilità nel disastro di Tazreen fashion Limited a Dacca. Piazza Italia pur producendo in Bangladesh, non ha lavorato con l’azienda in questione, in quanto firma accordi di produzione solo con ditte di Trading che garantiscono il rispetto di una serie di standard di sicurezza. Proprio alla luce della non responsabilità dell’azienda riteniamo fazioso e scorretto accostare il nome di Piazza Italia a quello di aziende che hanno responsabilità diretta per quanto accaduto. Inoltre, sensibilizzata alla causa, Piazza Italia si é da subito messa in contatto con l’associazione Abiti Puliti, dichiarandosi disponibile ad una donazione di solidarietà; tale contributo è stato purtroppo rifiutato. Per altro, nessun Responsabile dell’azienda è stato contattato per l’ultimo incontro di Ginevra del 11 e 12 settembre us, nonostante gli organizzatori abbiano i loro contatti. Altresì l’Azienda è stata soggetta di un’azione di spam organizzata nel mese di luglio. Consci però che l’accordo promosso da IndustriAll e Union Global “ Bangladesh Fire and Building Safety” sia fondamentale per I diritti dei lavoratori in Bangladesh e in qualsiasi parte del mondo, Piazza Italia si renderà disponibile a sottoscriverlo.
La replica di Marco Quarantelli
Prendiamo atto che Piazza Italia “firma accordi di produzione solo con ditte di Trading che garantiscono il rispetto di una serie di standard di sicurezza”, ma fotografie di abiti con l’etichetta recante il logo “Piazza Italia” sono state scattate sul luogo dell’incendio della Tazreen e sono in possesso di Clean Clothes Campaign. Forse il controllo che Piazza Italia è in grado di esercitare sulla filiera si ferma alle ditte di trading: non è un caso che in una mail inviata alla ong l’azienda ritenga possibile che gli abiti fotografati possano essere “campioni” prodotti da Tazreen per Piazza Italia. Sollecitata da Clean Clothes Campaign a versare 62.500 dollari (47 mila euro) come quota del risarcimento complessivo ripartito tra varie aziende coinvolte nella vicenda Tazreen, Piazza Italia ha offerto un contributo per le vittime di 10 mila euro (nella tragedia morirono 112 persone). Per quale motivo Piazza Italia ha offerto un risarcimento per le vittime se non aveva legami con Tazreen? L’invito a partecipare all’incontro di Ginevra dell’11 settembre è stato spedito via email dal sindacato IndustriaAll Global Union il giorno 20 agosto alle 15.01.
La controreplica di Piazza Italia
Piazza Italia ribadisce: Purtroppo, ancora una volta, vengono confuse due questioni differenti: da un lato, il tragico evento della Tarzeen, dall’altro la disponibilità di Piazza Italia alla firma dell’accordo “ Bangladesh Fire and Building Safety”.
Nel primo caso, Piazza Italia ha comunicato in diverse occasioni alla Campagna Abiti Puliti che le sue produzioni non avevano alcun collegamento con la Tarzeen. Non si tratta di mancanza di coerenza ma di indagini interne svolte proprio dopo esser stati contattati dalla Compagnia, per poter esser certi che nessuna nostra Trading producesse li. Alla luce di tali accertamenti e conferme ricevute dalle Trading, Piazza Italia ha cercato di chiarire la propria posizione di non responsabilità nell’orribile episodio. Pertanto, è venuto meno l’obbligo di un risarcimento in senso stretto (si risarcisce qualcuno al quale si è procurato un danno) e nella stessa sede Piazza Italia ha proposto un primo contributo di solidarietà di 10.000 euro, poiché fortemente sensibilizzata dai rappresentanti dell’associazione e dall’accaduto, al quale sarebbero seguiti altri contributi, soprattutto se ci fosse stato un riscontro positivo della Compagnia e non un rifiuto netto.
Riguardo la seconda questione, ovvero la disponibilità di Piazza Italia ad incrementare comunque le misure di sicurezza e dei propri rapporti con le aziende di trading in modo da poter esercitare un maggior controllo sulla filiera produttiva, firmando un accordo promosso da Abiti Puliti, questa non è mai stata negata. L’Azienda, però, è stata da subito messa sotto attacco dalla ONG in forma di spam mail e bombardamento sui propri canali social, ledendo anche quanto finora si era costruito.
Piazza Italia può affermare con la massima sicurezza di non aver ricevuto alcuna comunicazione né invito ufficiale al tavolo di discussione per la data del 11 settembre.
A questo proposito, poiché la Campagna Abiti Puliti ha tutti i recapiti dei responsabili della azienda e ha trovato sempre disponibilità ad un confronto pacifico, anche con un incontro effettuato nei mesi scorsi, sembra assurdo che debba limitarsi ad attaccarci e a rispondere alle nostre precisazioni attraverso i social network o minacciarci con la presenza di foto che, come puntualizzato più volte, non appartengono ad una produzione di Piazza Italia. La presenza delle etichette dell’Azienda può essere rappresentata anche da rimanenze di etichette recuperate da altre fabbriche.
Dal nostro canto, anche a seguito della diramazione di un comunicato stampa ufficiale inviato attraverso il nostro ufficio stampa e reso molto sterile da alcune testate online, ribadiamo che siamo disponibili ad eventuali accordi che tengano conto del nostro contributo VOLONTARIO alla causa, non in forma di risarcimento, invitando nuovamente i responsabili della Campagna Abiti Puliti a sedersi al tavolo delle trattative in modo da poter garantire anche la nostra adesione a riunioni internazionali .