Scuola

Test ingresso 2013, possiamo fare a meno del numero chiuso all’Università?

L’esame di ammissione all’università, che si sta concludendo in questi giorni, è stato criticato da più parti; raramente il problema, che è complesso, è stato considerato nella sua interezza. Poiché il Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia è quello per il quale la polemica è più aspra, ed è anche quello che conosco meglio, considererò le problematiche relative; lo stesso ragionamento può essere esteso, coi dati opportuni, a qualunque Corso di Laurea.

Esiste un fabbisogno annuo di laureati che le università pubbliche devono fornire al paese; per il caso dei medici e chirurghi è relativamente facile darne una stima, come ho dimostrato in un post precedente su questo blog, ed è anche facile rendersi conto che il sistema universitario italiano è a malapena in grado di coprire questo fabbisogno.

Agli esami di ammissione per il Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia si sono presentati quest’anno (più o meno come di solito) circa 8 candidati per ogni posto disponibile, enormemente di più del fabbisogno nazionale. Ad esempio alla Sapienza di Roma circa ottomila candidati per circa novecento posti. Che fare? Si possono considerare tre ipotesi: ammettere tutti i candidati e laureare tutti quelli che riescono in qualche modo a superare gli esami, a prescindere dal fabbisogno del paese; oppure ammettere tutti i candidati e svolgere le selezioni durante l’intero corso di studio portando alla Laurea solo i più bravi, in misura comparabile col fabbisogno del paese; oppure ancora svolgere una selezione di ingresso e ammettere al corso fin dall’inizio soltanto il numero necessario per coprire il fabbisogno, tenendo conto della percentuale di abbandono (attualmente di circa il 30-40%).

La prima e la seconda soluzione sono piuttosto crudeli, per ragioni diverse: la prima perché immette sul mercato un numero di medici che il sistema non può assorbire condannandone molti ad un inserimento lavorativo marginale (ed è facile prevedere che le raccomandazioni avrebbero una enorme influenza su chi trova lavoro e chi non lo trova). La seconda perché effettuare la selezione durante il corso di studi significa scartare persone che hanno speso anni di studio inutilmente. Queste soluzioni sono inoltre molto costose: occorre moltiplicare per otto il numero di docenti e le strutture, almeno per i primi anni di corso (aule, biblioteche, etc.); inoltre le norme europee vincolano le iscrizioni al numero di posti letto dell’ospedale annesso all’università e quindi sarebbe necessario convenzionare le università con gli ospedali non universitari sul territorio.

E’ difficile per il lettore non esperto valutare correttamente il lavoro necessario al docente per seguire una classe di 160 studenti universitari (su per giù la dimensione attuale dei corsi di Medicina e Chirurgia): si consideri soltanto che un esame dura in genere almeno mezz’ora ed impegna (o dovrebbe impegnare) una commissione di tre docenti: poiché alcuni studenti ripetono lo stesso esame più di una volta, si può stimare che ogni classe richiede per ogni materia 360 ore lavorative/docente per anno per i soli esami. Poi naturalmente ci sono tutte le altre attività e gli altri corsi (ogni docente insegna in più di un corso); e poi c’è la ricerca, senza la quale saremmo tutti inattivi totali secondo le norme dell’Agenzia Nazionale per la Valutazione dell’Università e della Ricerca (ANVUR).

La terza soluzione, dell’esame di ammissione, sembra più economica e razionale ed anche meno traumatica (meglio scartati subito che dopo anni di fatiche). Inoltre un esame di ammissione fatto con quiz anonimi e corretto da computer è meno soggetto a raccomandazioni e favoritismi illegali.

Purtroppo basare una selezione sui quiz non è facile ed i quiz del Ministero sono pessimi, per una serie di ragioni, alcune delle quali già evidenziate in questo blog. In ultima analisi, nessuna soluzione è soddisfacente, ma il male minore sembra essere un esame di ammissione basato su criteri multipli (quiz e voto di maturità) costruiti e pesati in modo più accorto dell’attuale.

Questa soluzione si concilia male con l’obiettivo di aumentare il numero di laureati di un paese che ne ha troppo pochi. E’ evidente che il sistema universitario italiano dovrà essere ampliato, almeno un po’, se si vogliono conseguire gli obiettivi che la Comunità Europea ha fissato nel programma Horizon 2020; e che gli studenti debbano essere incoraggiati ad iscriversi all’università, soprattutto nei corsi relativi a professioni insufficientemente rappresentate nel paese.