Nessuno è perfetto, nemmeno Mourinho. La cittadina di Tròia, dove lo Special One si è comprato parecchie proprietà, svela la vera natura del suo nome: una via di mezzo tra Milano 2 (comprensori di residenze tirate su dal nulla) e Montecarlo (grattacieli sul mare). Rinunciamo a cercare la villa dell’amato Mou (che probabilmente sarebbe uguale a tutte le altre) e risaliamo la penisola, che subito ridiventa selvaggia, fino al primo centro abitato, Comporta. Questo, sì, un vero paesino di mare portoghese; così indolente e così disincantato da passare quasi inosservato quando ci si arriva. Sembra che a parte il cartello indicatore non ci sia nient’altro (foto 1). Poi, con calma, ti accorgi che ci sono un paio di vie parallele alla provinciale, che ci sono ristoranti, villeggianti, un bar pasticceria dove preparano toast al tonno prelibati; e che oltre la strada, le vie, il corso del fiume, le risaie, i capannoni bassi ristrutturati a rustico, la pineta e le dune c’è la spiaggia affacciata sull’oceano. Eccome se c’è. Ultima bella scoperta: su molti tetti, sui camini e perfino sul campanile della chiesetta grossi nidi fatti di giunchi con dentro le cicogne, che aspettano il tramonto in silenzio. Chiuse nel loro riserbo, ti guardano in piedi senza guardarti, un po’ come gli abitanti del paese (foto 2).
Siamo a una cinquantina di chilometri a sud di Lisbona. Ecco il posto che fa per noi per tirare il fiato. Comincia la ricerca del mitico quarto favoleggiato da Pietro; un appartamentino affittabile a prezzi irrisori e in cui poter finalmente dormire separati. Purtroppo non è così; l’unico albergo, tre stelle, ha camere decisamente troppo care, ma la padrona, impietosita, ci propone una staff room, una delle camere riservate al personale. La notte nella staff room, con le sue pareti chiazzate dal sangue delle zanzare spiaccicate, tende al dostoevskijano: memorie dal seminterrato. All’alba sorprenderemo anche una rana, intenta a scendere le scale che conducono alla porta d’ingresso.
Cambiamo sistemazione ma restiamo in paese. A Comporta si sta bene, il clima è perfetto, di giorno sole quasi africano, di notte fresco e ventilato, Pietro intuisce che potrebbe essere il posto ideale in cui lasciare la Rab, così ci mettiamo alla ricerca di un garage. La notizia fa in breve il giro del paese, ma tutti offrono la stessa cifra, troppo alta. Evidentemente non vogliono farsi concorrenza. Quando l’affare sembra sfumato, e si avvicina lo spauracchio del parcheggio low cost dell’aeroporto di Lisbona (500 euro per lasciare la Rab all’aperto), Pedro, il cameriere del ristorante Central, specializzato in riso, gamberi e granchio cotti direttamente nel pentolone, ci chiede un colloquio riservato. Ha adocchiato la macchina, parcheggiata proprio sotto il ristorante, è appassionato di auto, dice che le R4 in Portogallo vanno a ruba, vuole darci una mano. Un suo potente zio, don Miguel Gomes, si occupa di spedizioni internazionali al porto di Setubal, a mezz’ora di traghetto. Vale sicuramente la pena di andargli a parlare. Decidiamo di giocare quest’ultima carta. Don Miguel è un signore piccolo piccolo con una barba curatissima e un enorme sigaro in bocca; ci fa accomodare nel bell’ufficio del palazzo dove ha sede la sua ditta (foto 3) e si mostra ottimista; Pedro gli ha parlato del nostro viaggio intorno al mondo e lui è disposto ad aiutarci; “Noi portoghesi siamo arrivati dappertutto per primi, volete che non facciamo attraversare l’oceano a una R4?”. E così dicendo, ci indica il busto di Magellano che troneggia sulla sua scrivania. Venti giorni, massimo un mese, la Rab potrebbe raggiungerci a Buenos Aires, spedita via cargo per una spesa inferiore a quella del posteggio low cost. Nessun anticipo, nessun costo aggiuntivo; suo nipote Pedro terrà la macchina in consegna fino al momento dell’imbarco. Pagamento alla consegna, in pesos argentini. Don Luis fa una lunga tirata dal sigaro, poi si alza in piedi e tende la mano. Ci guardiamo perplessi; poi Pietro gliela stringe. Affare fatto.
E così, al giorno di viaggio numero 21, è giunta l’ora di separarsi sia pure temporaneamente dalla Rabmobile; dopo il simbolico passaggio delle chiavi da Pietro a Pedro (foto 4) sarà quest’ultimo ad accompagnarci sul suo furgone al ferry che fa la spola tra Troia e Setubal. Già, perché il destino vuole che il distacco tra Pietro e la sua amata vettura avvenga per acqua, proprio come il celebre Addio ai monti di Lucia nei Promessi sposi. Pur nella speranza che ci ricongiungeremo presto, appoggiato al parapetto del ferry Pietro sventola il fazzoletto in segno di saluto (foto 5) e non può trattenere una lacrima: Addio Rabmobile!