Per anni ha addestrato i delfini che si esibivano al delfinario di Gardaland, e i tursiopi, Oscar Caridi li conosce bene. Con Romeo, Giulietta e Violetta si allenava durante i mesi invernali, e si esibiva in estate, quando il parco divertimenti si animava di bambini e famiglie desiderose di vedere gli animali partecipare agli spettacoli. Poi, però, alla vecchia gestione ne è subentrata una nuova, “e al benessere degli animali sono state anteposte le esigenze economiche dell’azienda”, quindi “ho deciso di andarmene”. Perché “quando si parla di delfini, così come quando si ha a che fare con gli animali in generale, bisogna sempre tenere presente un requisito fondamentale affinché sia garantito il loro benessere: il rispetto – racconta al fattoquotidiano.it Oscar Caridi, oggi consulente nella progettazione di delfinari –. Non si può, quindi, sottoporli a uno stress eccessivo, né adottare comportamenti troppo duri per imporre modifiche al loro comportamento. Soffrono, esattamente come soffriamo noi esseri umani”. Secondo Caridi un confine che distingue l’allenamento dei delfini dal maltrattamento c’è. “Non sempre la permanenza in delfinario rappresenta automaticamente motivo di malessere per gli animali”. Ma spesso, quella linea sottile tra vita e sopravvivenza viene superata.

Oscar come mai hai scelto di abbandonare il tuo ruolo di allenatore al delfinario di Gardaland?

Nel 1997, con il mio contributo, a Gardaland venne inaugurato il Palablù, allora il delfinario più grande d’Italia. Un cambiamento importante se si considera che prima le strutture che avevano ospitato gli animali del parco divertimenti erano totalmente inadeguate. Con il Palablù avevamo finalmente lo spazio necessario, oltre che idoneo per legge, a garantire agli animali condizioni di vita dignitose. E io personalmente facevo il possibile affinché i delfini stessero bene. Se era loro richiesto di fare più spettacoli durante, ad esempio, una festività, facevo in modo che il giorno successivo riposassero. Mi prendevo cura di loro, e con loro avevo un ottimo rapporto. Purtroppo quando è subentrata la nuova gestione hanno cercato di scavalcare le mie decisioni, perché il nuovo delfinario era costato molto, e bisognava recuperare il denaro speso. Io non ero d’accordo, e non lo erano nemmeno i veterinari, la proprietà pretendeva che gli animali lavorassero a oltranza, così me ne sono andato.

E pochi mesi dopo è morto il primo delfino, Romeo.

Sì. Purtroppo Romeo è stato solo il primo. Dopo di lui sono morte anche Giulietta e Violetta. Ho provato molta rabbia quando l’ho saputo, mi sentivo in colpa, mi sono spesso domandato se rimanendo avrei potuto cambiare qualcosa. In trent’anni non erano mai capitate cose simili a Gardaland. Certo, il Cites (Convention on International Trade in Endangered Species ovvero la convenzione di Washinton, ndr) aveva imposto di rinnovare la struttura che era obiettivamente obsoleta e fatiscente, ciononostante tutti i delfini che avevamo avuto erano morti di vecchiaia, o per problemi legati alle sedi dov’erano precedentemente ospitati. Il rapporto umano, per gli animali che vivono in cattività, è importante. Così come è importante fare in modo che lo stress non sia mai eccessivo: da un lato allenarli consente loro di muoversi, dall’altro l’eccesso provoca disturbi fisici.

Secondo gli animalisti i delfinari sono “prigioni per mammiferi marini”, e andrebbero chiusi.

Io credo che sia difficile fare un discorso generale. Per quanto riguarda gli animali nati in cattività, e fortunatamente oggi non si usa più catturare esemplari dal mare per portarli nei delfinari, bisogna ricordare che non saprebbero più vivere nel loro ambiente naturale. Ciò che fa la differenza è il modo in cui vengono trattati: pratiche come la deprivazione di cibo allo scopo di addestrarli, strutture non idonee che non offrono la possibilità di separarli quando ce n’è bisogno, ma che anzi li costringono a una convivenza forzata, la mancanza di un adeguato trattamento medico veterinario, persino le percosse. Sono tutte condizioni da maltrattamento. E i delfini soffrono.

Alcuni tra i disturbi più frequenti riscontrati nei delfini maltrattati sono il deperimento, le ulcere gastriche, micosi, problemi oculari.

Ricordo che ospitammo un esemplare ancora piccolo, arrivato da un altro delfinario: era stato picchiato e aveva lo stomaco pieno di ulcere. E’ inaccettabile. I delfini sono esseri viventi e in quanto tali non vanno forzati. Bisogna rispettare le loro esigenze. Purtroppo la differenza spesso è sottile e il confine viene superato, con un impatto così forte che può determinare il futuro e la sopravvivenza del delfino.

Il 2 settembre scorso la Procura di Rimini ha ordinato il sequestro dei quattro delfini ospitati nel delfinario cittadino, causa “maltrattamento” nei confronti degli animali. Per le associazioni Enpa, Lav e Marevivo lo stesso discorso vale per le altre strutture italiane, che andrebbero altresì chiuse.

Io non credo che la permanenza in una struttura determini automaticamente il malessere per gli animali. Penso invece dipenda dalle condizioni in cui vivono. Nel caso di Rimini credo che la decisione della Procura si basi soprattutto sulle dimensioni della vasca. Il Cites ci impose di ampliare il delfinario di Gardaland quasi vent’anni fa, quindi è ovvio che loro hanno tirato troppo la corda nel rimandare i lavori, quando lo spazio, invece, è importante. Se nel gruppo ci sono due maschi, per esempio, c’è conflittualità perché automaticamente uno dei due è il capobranco e l’altro vorrebbe prendere il suo posto. In quel caso serve separarli. Anche noi umani non abbiamo, del resto, voglia di essere sempre in compagnia.

Il rapporto dell’Enpa sostiene che “il prezzo pagato dai delfini per fare gli ‘ambasciatori’ nei delfinari è stato” negli anni “un altissimo numero di decessi nelle fasi di cattura, trasporto e permanenza in vasca, nonché morti spesso provocate dall’alto livello di stress cui erano sottoposti o da altre conseguenze della cattività”. L’Italia non potrebbe farne a meno?

Purtroppo no. Circa 25 anni fa un’associazione si pose questo stesso quesito, e fece un test. Sottopose alcuni delfini a un addestramento utile a insegnare loro a cacciare il cibo, un addestramento molto superficiale a mio parere, e poi li liberò. Il primo morì poco dopo, gli altri di seguito. Per gli animali che oggi vivono nei delfinari, o che lì nascono, non ci sono alternative. L’unica cosa che possiamo fare è pretendere che siano eseguiti controlli, effettuati da personale competente, per verificare l’idoneità delle strutture e di chi vi opera. Non possiamo chiudere i delfinari e liberare i delfini, ma abbiamo il dovere di fare in modo che vivano nelle migliori condizioni possibili.

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