La domenica pomeriggio c’era la discoteca. Romina usciva con gli altri compagni, li chiamo compagni, non erano amici, non erano conoscenti, erano compagni di qualcosa. Ci vedevamo in discoteca, squallida come la Haus der Mitte nella Lipschitzallee di Gropiusstadt, sotto le ombre di rudimentali privè, luoghi segreti dedicati al nulla in definitiva, oppure sedevamo sui divanetti, trattenendo la rabbia o la gran tristezza o la solita noia, che ogni male mi ha cagionato, ogni avversità, ogni intuizione. La noia non salva, ma non dobbiamo sempre aspettarci qualcosa dalla forma che prendono le cose, da quel che ci mostra la vita? Eppure sì, non siamo buttati a caso nella trama delle cose, abbiate pazienza.
Romina sceglieva i compagni che bevevano come lei, era davvero deprimente immaginarla spartirsi a giro la bottiglia grezza, il vino tagliato. Romina si era innamorata, non di quel buzzurro malfatto che ce l’aveva col mondo, di un bel tipo, magro, quasi distinto, ma si faceva, come gli altri, e stava con un pederasta, un tizio, un vecchio, che lo pagava bene e lo amava, da morir dal ridere. Un maiale pederasta che parlava d’amore.
Romina lo sapeva, e aspettava il suo turno, sapeva aspettare, era paziente, strafatta, paziente, ubriaca. Certe volte litigavano, Romina faceva a botte con quelli delle case, figuriamoci con un vecchio pervertito, roba da non crederci. Ero indignata, cacchio Romina fai la donna, lei sputava per terra. Aveva ragione, faceva un po’ tutto ribrezzo, cattivo odore, tutto sbiadiva, gli uomini scoloravano nelle loro impudicizie, nelle loro innominabili defezioni. Faceva un po’ tutto schifo, sì.
Quando pioveva, il mare delle case di lamiera era grigio e schiumoso. E a noi piaceva il mare delle case e anche la pioggia, a noi, a me, Romina, i compagni, piaceva fumare e pensare a qualcosa che avesse a che fare con un futuro, il futuro era sempre da un’altra parte. E poi rimaneva l’odore della terra che evaporava dalle steppe, rigagnoli debordavano le acque sporche, il colle era stentoreo, lucido, Mazzarruna era più clemente con i suoi piccoli uomini, provati e miseri.
Il nostro futuro avrebbe dovuto esaudirsi in una città del Nord, in un ostello, in un’aula universitaria, Romina non finì le scuole superiori, gli altri avevano la terza media. Ma io vagheggiavo quel sogno di libertà, di pullover con il collo morbido di lana, di tracolla, e mocassini da ragazzi perbene, una mensa di studenti, gli altri mi venivano dietro e sorridevano, facendo sì con la testa.
Romina, chiedevo, tu cosa farai un giorno? Romina sorrideva, dalle soffitte del casermone alveare, guardavamo fuori, mentre Romina sorrideva e pensava a una risposta giusta. Che ne dici, diceva, se un giorno a Milano, ah sì a Milano, aggiungevo, sì, anche gli altri aggiungevano qualcosa, gli altri ridevano per colpa del fumo, perché non c’era niente da ridere. Io, spiegavo a Romina, io vorrei fare la scrittrice. Così ridevano, per colpa del fumo.