Condanna a morte. E’ la sentenza pronunciata da un tribunale speciale di Nuova Delhi, in India, nei confronti di 4 imputati dello stupro di gruppo avvenuto nel dicembre scorso ai danni di una studentessa di 23 anni, poi deceduta in un ospedale di Singapore per la gravità delle ferite riportate. I 4 condannati a morte per impiccagione sono Mukesh Singh, 26 anni, Vinay Sharma, 20 anni, Pawan Gupta, 19 anni, e Akshay Thakur, 28 anni. Si tratta del primo caso di condanna capitale per reati sessuali inflitta dopo l’inasprimento delle pene decisa in seguito all’ondata di brutali violenze nel Paese.
Un quinto imputato, minorenne al momento dei fatti, è stato condannato il 31 agosto a tre anni di riformatorio, pena massima prevista dal codice penale indiano per i minori di 18 anni. In marzo, infine, Ram Singh di 33 anni, autista dell’autobus su cui fu commesso lo stupro di gruppo e considerato l’ideatore dell’assalto, si è apparentemente suicidato nella sua cella del carcere.
Dopo la lettura della sentenza di condanna a morte, il 20enne Vinay Sharma è scoppiato a piangere. L’uomo era assistente in una palestra e l’unico dei quattro diplomato alle scuole superiori. Leggendo la sentenza, il giudice Yogesh Khanna ha affermato che “i tribunali non possono chiudere un occhio” su questi crimini. “Sono molto felice che la nostra ragazza abbia avuto giustizia”. Queste sono le parole del padre della studentessa vittima dello stupro dopo la sentenza di condanna a morte dei quattro imputati. Ha ringraziato “le forze dell’ordine, i media e la gente che ci ha accompagnato in questi difficili momenti”. La madre della vittima ha detto che “sono in parte sollevata da questa tragedia, perché sento che giustizia è stata fatta”.
L’avvocato A.P. Singh, difensore di due dei quattro imputati ha reso noto oggi che intende fare ricorso nei confronti della sentenza. Parlando con i giornalisti all’esterno del tribunale di Saket, ha detto che farà ricorso presso l’Alta Corte di Delhi. Anche i condannati dai tribunali speciali indiani hanno diritto di ricorrere all’Alta Corte e alla Corte Suprema.
I fatti risalgono al 16 dicembre 2012 quando una giovane studentessa del settore paramedico, ribattezzata dai media “Nirbhaya” (“Colei che non ha paura”), dopo essere andata al cinema in un quartiere a sud di Nuova Delhi, accettò di salire con il fidanzato su un autobus privato per tornare a casa. A bordo dell’automezzo si trovavano i 6 imputati che dopo aver immobilizzato e malmenato l’uomo, si abbandonarono in modo selvaggio ad inenarrabili violenze nei confronti della giovane, utilizzando fra l’altro anche una sbarra di ferro. I due furono poi abbandonati seminudi al margine di una strada. “Nirbhaya” morì quasi due settimane dopo in un ospedale di Singapore per la gravità delle ferite riportate. Il caso ha scosso la società indiana ed internazionale ed ha contribuito a infrangere il muro di omertà esistente in India sul tema della violenza sessuale contro le donne, comprese bambine in tenera età.