Band power pop guidata da Miss Astrid Dante, i Miss Chain & The Broken Heels hanno da poco dato alla luce “The Dawn”, il loro secondo album, arrivato a tre anni di distanza da “On a Bittersweet Ride”. “Ascoltare questo disco – racconta la frontman del gruppo – è come rileggere le pagine di un diario segreto, spesso il mio, talvolta quello di qualcun altro”. Tutte le esperienze vissute, a partire dal tour svolto in occasione del disco d’esordio, sono contenute in questo album in cui si cantano le avventure, le emozioni, le difficoltà, i sogni oltreché gli incubi vissuti negli ultimi tre anni.
“The dawn” è un disco che trasuda energia sin dalla prima traccia “The Dawn is Me”: suoni graffianti in stile punk, con tocchi di country e rhythm‘n’ blues miscelati alla perfezione negli undici brani. Una band da seguire, questa, dalla personalità forte e un carisma raro di questi tempi. Qui di seguito, l’intervista ad Astrid Dante, fatta in un momento particolare: la band tra valigie e bagagli vari, è pronta a sbarcare negli Stati Uniti, dove saranno impegnati in un lungo tour “coast to coast” che partirà da Los Angeles.
Astrid mi racconti come nascono i Miss Chain And The Broken Heels e qual è il vostro background artistico?
Miss Chain and the Broken Heels nasce come un mio progetto solista nel 2007, quando mi sono accorta di avere una manciata di canzoni troppo pop e inutilizzabili per il gruppo in cui suonavo al tempo, le Nasties. Così ho deciso di registrarle in casa, con un mio grande amico, Paolo Dondoli. Dopo nemmeno un mese dalla pubblicazione dei pezzi su Myspace, mi arriva la proposta da parte di due etichette, l’americana Sonic Jett records di Portland e l’italiana RIJAPOV, per stampare quello che sarebbe stato il primo 7″. Una volta avuto tra le mani il disco, ho deciso di concretizzare il progetto coinvolgendo i fratelli Barcella (Bruno alla batteria, Franz al basso) e Silva alla chitarra solista. Nel gennaio 2008 abbiamo fatto il primo concerto e da li non ci siamo più fermati. Tutti noi abbiamo un background che si rifà alla scena punk-rock (americana ed europea del ’77) e hardcore per Silva. Questo è visibile soprattutto nella nostra attitudine nei live e nella modalità di gestire tutto quello che riguarda la band.
Siete tutti musicisti professionisti? Riuscite a vivere esclusivamente di musica o siete “costretti” anche a fare altri lavori?
Al giorno d’oggi, vivere in Italia esclusivamente dei guadagni della band è un concetto abbastanza utopico. Quello che entra viene reinvestito per registrazioni, merchandise, spostamenti ecc e quello che rimane da dividersi è ben poco. Ognuno di noi si è ingegnato a trovare un proprio spazio lavorativo in sintonia con i ritmi della band e che gli permette di pagare l’affitto e arrivare a fine mese con il sorriso. Sarebbe impossibile per noi avere lavori regolari e sinceramente nessuno di noi penso li vorrebbe. Franz gestisce un’agenzia di concerti, Brown è socio del TUP, studio di registrazione a Brescia. Silva insegna chitarra; io attualmente sto lavorando per la magistrale di Psicologia Clinica.
Il disco è ispirato dalle vostre vite vissute, fonda, assembla e intreccia diversi generi. Ma qual è quello che sentite a voi più congeniale?
È veramente una domanda difficile… Non esiste un genere che a posteriori sentiamo più congeniale perché non c’è stata una scelta intenzionale di andare verso una certa direzione e far suonare il disco un po’ più “country” oppire un po’ più “pop”. Sicuramente nel songwriting emerge l’influenza di diversi generi, dal girl group di matrice motown al folk rock, dal soul al power pop. Un mix molto vario di sonorità Sixties, americane e britanniche, che ricreano il nostro habitat naturale personalizzato dalle nostre vite vissute e quindi dalla vastità di esperienze, emozioni e spunti di riflessione che troviamo quotidianamente e soprattutto quando viaggiamo grazie alla nostra musica. Quello che facciamo, fortunatamente, ci esce in modo molto spontaneo e naturale, quindi è difficile analizzarlo con occhio critico essendo coinvolti al 100% nella creazione.
Cosa ne pensi del panorama musicale italiano?
L’Italia è un paese contaminato culturalmente ed è indubbiamente una fucina d’arte. Per quello che concerne la musica indipendente, ci sono una miriade di gruppi interessanti, con maggiore o minore visibilità, che portano avanti con devozione la loro passione. Purtroppo, molto spesso le nicchie dentro la nicchia portano a una visione del panorama molto ristretta e frammentata. Se a questo si aggiungono le difficoltà burocratiche e logistiche imposte per l’organizzazione dei concerti e la mancanza di una sorta di coscienza e curiosità per la musica dal vivo (Germania e Nord Europa insegnano in questo campo) che porta gli italiani a preferire il bancone del bar al live, è comprensibile percepire una sorta di rassegnazione e cinismo nei musicisti della penisola. Personalmente preferisco vedere il bicchiere mezzo pieno e spesso mi viene da ricordare ai miei “colleghi” che le cose bisogna sudarsele e nulla ti arriva per grazia divina, ci può essere una buona manciata di fortuna, ma quella è solo uno degli ingredienti della formula magica che crea l’alchimia necessaria a far viaggiare una band. Se dovessi citare quelli che maggiormente apprezzo per un discorso di attitudine e musicalità sono: Il Buio, Love Boat, Jennifer Gentle, Titor, Movie Star Junkies…
C’è invece un messaggio che ti piacerebbe venisse colto dall’ascolto del vostro disco?
Che la vita è un dono speciale, e come dice Barbara D’Urso “tanto poi esce il sole”.
Avete delle date in programma?
Tra due giorni saremo a Los Angeles per la prima data di un lunghissimo tour americano, una sorta di coast to coast, in compagnia di Kepi Ghoulie. Dal 14 settembre al 12 ottobre toccheremo non solo le grandi metropoli, ma ci avventureremo tra le colline del Wisconsin, i boschi dell’Oregon fino al deserto dell’Arizona e del New Mexico. L’unico day off che avremo sarà dedicato a 27 di guida. Ne vedremo delle belle. Apriremo ogni sera con il nostro set per poi dopo una breve pausa risalire sul palco nelle vesti di backing band del sopracitato Kepi!! Siamo cresciuti ascoltando i Groovie Ghoulies e per noi è un onore poter vivere quest’esperienza con uno dei personaggi storici della scena punk rock americana.
Prossimi progetti?
Un videoclip ultrapettinato ai livelli di Rihanna o Lady Gaga! Stiamo inoltre già lavorando a nuovi pezzi e tornati dal tour penseremo a quando tornare in studio di registrazione.