Mi torna in mente la sensazione di saluti infiniti, abbracci e baci sudati. Facce che riconoscevo a stento o che non collegavo al nome giusto, fiati pesanti a dire “come sei cresciuta”, caramelle appiccicaticce da mangiare per forza ché sennò pareva brutto.I miei dubbi crescono. Mi chiedo: non era forse meglio rimanere a casa a costruire la piramide coi Lego?
Vado avanti con i ricordi e dopo i baci mi tornano in mente le tavolate interminabili, il frinire delle cicale, l’odore della citronella: la memoria è invasa dal colore, dal calore.Le risate dei grandi, i giochi di noi bambini, la carne alla brace e il profumo dei pomodori freschi del sud. Certo c’era la sensazione di essere in vacanza, di essere insieme, ma anche, soprattutto, di essere una famiglia. Chissà quanto era difficile, qualche volta, per gli adulti superare gli screzi, andare al di là delle piccole o grandi incomprensioni che noi bambini neanche immaginavamo (e che soltanto adesso a mia volta scopro).
Eppure eravamo tutti li, tutti insieme. A noi bambini sembrava solo che tutto ci fosse amico, ci proteggesse in qualche modo. Più avanti, nel tempo ho provato a tradurre – ma senza grandi risultati – la parola così italiana che indica questa sensazione: allegria.
Sì, è anche questo. Non solo. Intanto Alessandro ha rotto il ghiaccio con i cuginetti: ora ridono, corrono, scherzano. Sembra abbiano passato la vita insieme.
Per i Lego c’è tempo. Forse quando sarà grande, per un attimo anche a lui sembrerà che la famiglia sia un po’ un modo per trasformare la tristezza del tempo che passa in dolcezza.
Il Fatto Quotidiano del Lunedì, 9 Settembre 2013