Mi fa piacere sapere che Fabio Scacciavillani trovi il tempo per “assaporare con gusto” i miei commenti. Il confronto delle idee è delle poche attività in cui, scambiandosi qualche cosa, ci si arricchisce entrambi. Scacciavillani ha ragione a sostenere che l’economia non sia una scienza e che anche gli scienziati prendono cantonate, anche se gli argomenti che usa sono ingenui e irrilevanti e mostrano una certa confusione nella comprensione del metodo scientifico. Tuttavia, tra i temi che ha sollevato c’è un punto che vorrei chiarire da subito: l’unico riflesso condizionato che conosco è quello di valutare gli argomenti e di discuterli. Chiarito questo, non entrerò in un’inutile polemica sulle mie più o meno illustri discendenze, sulla mia carriera e su altre amene presunte attività che scaldano la fantasia del nostro chief economist, ma che sono inutili per i suoi argomenti e soprattutto lesive alla sua intelligenza.

Passiamo ora al primo punto: anche in fisica si prendono cantonate. Vero, anche se la traiettoria della cometa di Halley è stata prevista accuratamente dagli astronomi; lo specchio del telescopio Hubble l’hanno costruito gli ottici e l’errore di realizzazione, da addebitare alla negligenza della ditta costruttrice, la multinazionale Perkin Elmer, non c’entra nulla con la scientificità;  la fusione fredda non è stata una “bufala” ma un problema che doveva esser chiarito dopo i primi esperimenti. I risultati ottenuti da Fleischmann e Pons andavano verificati giacché il metodo scientifico si basa sul fatto che gli esperimenti devono essere riproducibili dato che le leggi di natura sono universali, cioè sono le stesse in ogni luogo e tempo. Possiamo fare la stessa affermazione sull’economia? Ovviamente no, e questo è il motivo per cui l’economia non è una scienza esatta.

Scacciavillani concorda su questo punto: anzi rilancia affermando che “nessun economista serio asserisce che l’economia sia una scienza”. Prima di assegnare patenti di serietà a destra e a manca, si dovrebbe però ricordare che Milton Friedman sosteneva che l’unica cosa che contava nell’economia era il suo potere predittivo proprio come la fisica. Economista non serio? Possibile. Senza andare troppo lontano, Scacciavillani si potrebbe fare due chiacchiere con il suo collega ed ex compagno di partito, Luigi Zingales, che scrive nel suo Manifesto Capitalista: “La storia della fisica nella prima metà del XX secolo è stata una straordinaria avventura intellettuale: dall’intuizione di Einstein del 1905 sull’equivalenza tra massa e energia alla prima reazione nucleare controllata del 1942. Lo sviluppo della finanza nella seconda metà del Novecento ha caratteristiche simili”. La finanza come la teoria relatività, la meccanica quantistica e la fisica nucleare! Ma allora neppure Zingales è un serio economista? Di sicuro la finanza ha prodotto catastrofi.

 Molti fisici che studiano i sistemi complessi e applicano questi concetti all’economia, hanno un’opinione piuttosto diversa e il punto non è tanto se l’economia sia o meno una scienza esatta, e non lo è, ma riguarda il fatto che la teoria economica dominante (e non l’economia tout court) è basata su ipotesi talmente forti da essere diventate assunzioni: la razionalità degli agenti economici, la mano invisibile e l’efficienza del mercato, ecc., concetti ritenuti tanto importanti da sostituirsi a qualunque osservazione empirica. E il punto è: sono verificati nella realtà o no? Ad esempio, la deregolamentazione avvenuta negli ultimi venti anni è stata basata sull’argomento che qualsiasi tipo di limite impedisce ai mercati di raggiungere il loro supposto stato di equilibrio perfetto ed efficiente. Secondo molti questi sono semplicemente dei dogmi ai quali è stato fornito un aspetto scientifico: in quest’apparente scientificità si trova l’aspetto più deleterio della veste tecnico-matematica dell’economia.

Da notare che la biologia, che anche non è una scienza esatta, ha fatto progressi enormi negli ultimi anni grazie ad un serrato studio di esperimenti e dati, avanzando in maniera pragmatica e non facendosi guidare da indubitabili assunzioni ideologiche. Dunque, il problema non è nel fatto che si tratta o no di una scienza quanto piuttosto di un problema metodologico.

Tornando alla fusione fredda, una volta assodato che i risultati non erano riproducibili, Fleischmann e Pons, come tutti gli autori di teorie non verificate o esperimenti non riproducibili, sono finiti nel dimenticatoio: né influenzano la ricerca di intere generazioni, né scrivono editoriali per orientare l’opinione pubblica e non sono neppure consulenti di governi, centri studi, ecc. Di contro, ad esempio, Reinhart e Rogoff, dopo una figura imbarazzante sono già stati dimenticati? Il problema in questo caso è che la discussione accademica è viziata da contiguità e ingerenza da parte di poteri politici ed economici: chi ha successo nell’accademia diventa spesso consigliere del principe. Ma che credibilità può avere di fronte all’opinione pubblica chi ha sbagliato in modo così eclatante e coloro hanno preso sul serio questo risultato e lo hanno usato per implementare politiche economiche di intere nazioni?

Scacciavillani mi chiede quante tasse vorrei pagare: la risposta è ovvia perché chiunque vorrebbe pagare il meno possibile. E chi non vorrebbe più efficienza e meno sprechi nella vita pubblica? La ricetta economica della destra è semplice: tagliare la spesa pubblica, abbassare le tasse e privatizzare al massimo i servizi oggi offerti dal welfare state. Una discussione seria su questi argomenti non può però prescindere dal considerare che lo sviluppo economico non si ottiene  tagliando i diritti dei lavoratori, le tasse e la spesa pubblica, ma investendo in ricerca e innovazione. E, per buona pace del nostro chief economist e dei suoi colleghi e compagni di partito, nella patria del capitalismo è lo Stato che si fa carico di questo investimento.

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