Mentre tutte le forze parlamentari hanno provato a forzare sulle modalità dello scrutinio, il presidente del Senato ha riportato tutti all'ordine: "Rispettare il regolamento, ma se le forze politiche vogliono cambiarlo non mi opporrò". Lite Latorre-Schifani a festa Udc; Brunetta: "Il ricatto è dei democratici, schifo inaccettabile". E Alfano: "Sono loro, non noi, a far male al governo"
Pd, Lega, Udc e M5S da una parte, Pdl dall’altra. I primi a favore del voto palese sulla decadenza di Silvio Berlusconi, il secondo per il voto segreto. Una polemica andata avanti per tutta la giornata – e con toni accesi – fino a quando non è intervenuto il presidente di Palazzo Madama, Pietro Grasso. “Io applico il regolamento – ha detto l’ex procuratore antimafia – ma se le forze politiche trovano l’accordo per cambiarlo, non sarà certamente il presidente del Senato a impedire una cosa del genere. Io sono pienamente rispettoso del volere della maggioranza delle forze politiche”. Parole, quelle del presidente del Senato, comunque servite ad abbassare i toni della querelle. Il Pdl, tuttavia, non si fida. E con Schifani non lo manda a dire: “Nessuno avalli blitz per modificare il regolamento sul voto segreto – è il messaggio del capogruppo azzurro a Palazzo Madama – Dopo l’anomala velocità dell’attività della Giunta, questo sarebbe l’ennesimo comportamento inaccettabile in una vicenda che sta assumendo i contorni di una vera e propria provocazione. Il Pdl, sia ben chiaro, farà da argine a qualsiasi forzatura di regole che fino ad oggi hanno caratterizzato il corretto funzionamento del Senato”. Tutte le forze parlamentari, del resto, prima delle parole di Grasso, si erano schierate contro il Pdl nel richiedere il voto palese. Poi, però, il Partito democratico è tornato sui suoi passi. “Deciderà chi deve decidere, l’importante è votare secondo la legge e secondo coscienza” ha detto Epifani, dopo che qualche ora prima sia il capogruppo Pd al Senato Zanda che il presidente della Commissione difesa Latorre avevano spinto per il voto palese.
Voto palese, in principio fu il M5S
I primi a puntare su questa eventualità sono stati i 5 Stelle, seguiti a ruota dal Carroccio, che chiede di giocare a carte scoperte la partita sul futuro politico del Cavaliere. Un’opzione, quella del voto palese, che non dispiace né all’Udc, né tantomeno al Partito democratico, il quale teme l’azione di disturbo dei soliti franchi tiratori in caso di voto segreto. Quest’ultimo, al contrario, è assai gradito al Pdl, con Schifani e Brunetta a cercare di respingere al mittente le richieste degli avversari appellandosi al regolamento di Palazzo Madama. Anche per questo motivo, la proposta della Lega è arrivata con una tempistica che calza a pennello con la strategia democratica. Nella fattispecie, l’annuncio leghista è firmato da Massimo Bitonci, capogruppo del Carroccio a Palazzo Madama: “La Lega chiederà la votazione palese quando arriverà in Aula al Senato il voto sulla decadenza di Berlusconi. Riteniamo che ogni partito debba assumersi in maniera limpida le proprie responsabilità davanti ai cittadini senza sotterfugi o giochi politici”. La proposta di Bitonci, oltre ad allinearsi alla posizione del Movimento Cinque Stelle, trova il favore di Partito Democratico e Udc, ma non quello del Popolo della Libertà, che si è già dichiarato contrario per bocca di Renato Schifani. Nuovo scontro in vista per le larghe intese? Per Angelino Alfano non ci sono dubbi: “In questo momento l’atteggiamento del Pd sta mettendo molto più a rischio il governo di quanto non lo faccia il Pdl”. Poi l’appello, “affinché i membri della giunta non si atteggino, sulla decadenza di Silvio Berlusconi, come se dovessero giudicare l’avversario storico da abbattere, ma piuttosto riflettano sul diritto ad essere senatore del leader di uno dei soci della maggioranza” ha detto Alfano in collegamento telefonico con la festa di Scelta Civica.
La Lega si allinea a posizione M5S. Morra: “Cambiare regolamento si può”
La richiesta del Carroccio, come detto, si muove nella stessa direzione dell’iniziativa dei Cinque Stelle, che poche ore prima avevano chiesto di abolire il voto segreto per ogni votazione al Senato. Il movimento aveva preso questa posizione dopo che il senatore Pdl Carlo Giovanardi aveva ironizzato su un voltafaccia da parte del M5S, accusato di volere salvare Berlusconi dietro la copertura della segretezza dell’urna. E oggi il capogruppo M5S al Senato Nicola Morra ha insisitito: ”Via il voto segreto subito! Si può fare! Se Pd e Lega vogliono veramente evitare il voto segreto non solo sulla decadenza da senatore del condannato a 4 anni Silvio Berlusconi ma per sempre, non c’è che una via. Semplice, chiara, netta, trasparente. Mettere immediatamente all’ordine del giorno la proposta di modifica del regolamento del Senato che martedì il Movimento 5 Stelle depositerà all’avvio dei lavori con primo firmatario Vincenzo Santangelo“. Non solo. Per Nicola Morra, qualora non ci fosse “la volontà politica di cancellare questa zona d’ombra dietro la quale si sono consumate nei decenni le peggiori nefandezze della politica italiana”, allora accadrebbe che “gli Schifani di turno, applicando l’attuale regolamento riusciranno a farla franca….caricando la mano dei ‘franchi tiratori‘ attraverso l’attuale regolamento”. Il capogruppo del M5s, quindi, ha proposto alle altre forze politiche che “in queste ore si sono pronunciate a favore della nostra proposta, di passare direttamente dalla parole ai fatti e chiedere al Presidente del Senato Grasso di calendarizzare la modifica del regolamento e metterla immediatamente ai voti. Via il voto segreto! I rappresentanti dei cittadini devono rendere conto di ogni azione agli elettori. Chi non ha nulla da nascondere non ha paura del voto segreto!” conclude Morra.
Pd e Udc d’accordo con proposta M5S-Lega
Ma l’idea del voto palese trova sponde anche all’interno della maggioranza. “Mi auguro che si voti con voto palese, bisogna avere il coraggio delle proprie posizioni, ancor più in passaggio così delicato”, ha spiegato Nicola Latorre, senatore del Partito Democratico, che ha voluto rassicurare sulla tenuta del gruppo a Palazzo Madama: “Sono assolutamente tranquillo, il Pd è compatto su questo”. Sulla stessa linea Pierferdinando Casini, presidente dell’Udc:, anche se non concorda sull’idea di cambiare la prassi di Palazzo Madama: “Il regolamento del Senato è inequivocabile e prevede voto segreto. Sotto il profilo personale mi augurerei la trasparenza di un voto palese, perché è giusto che in quella sede ciascuno si assuma la propria responsabilità, in Senato, davanti agli italiani”. Di segno opposto l’opinione di Renato Schifani, capogruppo del Pdl al Senato. “Il regolamento dell’Aula è chiaro e prevede il voto segreto a meno che non si realizzino nuove maggioranze anche in termini di regolamenti ma non vi sarebbero i tempi”, ha spiegato l’ex seconda carica dello Stato. “Sinora la prassi è stata ampiamente violata, le regole procedurali per fortuna no”.
Zanda ufficializza posizione Pd: “Sì a voto palese”
L’ufficialità della posizione del Pd a favore del voto palese è arrivata dal capogruppo democratico a Palazzo Madama, Luigi Zanda: “Se il Pd chiederà il voto palese per questa votazione cruciale? Nei precedenti casi il Pd ha sempre chiesto che in Aula si possa votare con scrutinio palese e d’altra parte questo accadrà anche in Giunta mercoledì prossimo” ha detto Zanda, secondo cui “finora i lavori della Giunta del Senato si sono svolti in modo impeccabile, tanto è vero che sul calendario c’è stato un voto all’unanimità. Naturalmente – ha aggiunto – il Pd si atterrà a quelle che saranno le decisioni della presidenza del Senato e ai regolamenti vigenti. Se il presidente del Senato indicherà il voto segreto, previsto dal regolamento, il Pd si atterrà. Il nostro desiderio ed indirizzo è che ci sia il voto palese” ha detto il senatore a RaiNews24.
A Festa Udc lite tra Schifani (Pdl) e Latorre (Pd)
Oltre al botta e risposta sul voto palese, tra Schifani (Pdl) e Latorre (Pd) scintille anche su altre tematiche alla festa dell’Udc a Chianciano. “Berlusconi dovrebbe dimettersi” prima del voto del Senato sulla decadenza”, ha affondato il senatore democratico, al quale ha risposto piccato il capogruppo Pdl Schifani. “Prendo atto che l’esponente del Pd è venuto qui per fare un comizio sulla decadenza di Berlusconi. In questo c’è la divisione totale tra un modello di cultura e l’altro. Siamo diversi caro Latorre“, ha replicato il capogruppo Pdl, conquistando uno scrosciante applauso della platea centrista presente. Schifani ha quindi accusato il Pd di “soffiare sul fuoco, di rompere quest’esperienza che ha voluto Silvio Berlusconi”, e ha ricordato come dopo “due mesi di paralisi” il presidente Napolitano “ci ha invitato a occuparci degli interessi degli italiani” ma “a voi (del Pd, ndr) è venuto stretto questo richiamo, non avete accettato di avere perso le elezioni, perché avevate smacchiato il giaguaro, avevate già pronti i ministri e tutto, e fallito quel progetto ci avete provato con Grillo che vi ha sbattuto la porta”. L’accenno di lite – Schifani ha anche precisato di non abbandonare il palco solo per rispetto della platea Udc – è infine rientrato, con gli esponenti Udc Cesa, Casini, D’Alia e De Mita che alla fine del dibattito si sono accostati ai due ‘litiganti’. Pacche sulle spalle, foto ricordo, ma poco dopo in una nota Latorre è tornato sulla questione. “Sono esterrefatto dalla reazione di Schifani. E’ il segno di un nervosismo che non consente anche ad autorevoli esponenti del Pdl di affrontare con un adeguato senso di responsabilità un passaggio così delicato. Le dimissioni di Berlusconi da senatore, prima che il Parlamento ne voti la decadenza, sarebbero un atto generoso che aiuterebbe il Paese”, ha ribadito il senatore dem. Sulla questione si è espresso anche il premier, che sempre da Chianciano ha detto: “Non entro in questa discussione, il voto non è materia di cui si deve occupare il presidente del Consiglio” ha detto Enrico Letta.
Brunetta: “Il ricatto è del Partito democratico. Uno schifo inaccettabile”
Ancor più esplicito l’intervento del capogruppo dei deputati Pdl, Renato Brunetta: “Il ricatto è esattamente quello del Partito democratico. Che dice: accettate l’omicidio di Berlusconi senza fiatare, altrimenti facciamo del male all’Italia e ve ne daremo la colpa. Uno schifo inaccettabile e che non fa conto dell’intelligenza degli elettori”. L’attacco dell’ex ministro, però, non si limita a considerazioni di carattere generale, ma colpisce anche obiettivi ben precisi. “Obbedendo agli ordini di scuderia di un Epifani preda della sindrome del boia, si permettono attacchi furenti e offensivi anche personaggi di seconda fila come questo tal Danilo Leva, che scopriamo – dice Brunetta – responsabile della giustizia del Pd. Costui, con una logica da quattro salti in padella e molta grappa, prima si inventa che il Popolo della Libertà propone ‘baratti tra governabilità e legalità’, e poi insulta definendo il Pdl ‘forza politica frutto di un pensiero politico che non esiste’. In realtà – conclude Brunetta – il nostro pensiero politico esiste eccome, e soprattutto è pensiero del fare. Esso prevede che non si possa uccidere la democrazia liquidando in nome di una legge incostituzionale il leader di dieci milioni di italiani”.
Il capogruppo del Pdl alla Camera ne ha anche per Beppe Grillo e il suo M5S. “Molto istruttiva la volontà di sopprimere il voto segreto da parte dei Cinque Stelle. Beppe Grillo non ha paura dei franchi tiratori – ha detto Brunetta – ma del voto di coscienza, anzi della coscienza e della libertà di potersi esprimere al sicuro da linciaggi mediatici e non solo mediatici di cui abbiamo avuto prova ai tempi in cui numerosi deputati del Partito democratico osarono non votare Prodi o Rodotà“. Brunetta, inoltre, ha ricordato come in quell’ occasione “si innescò la caccia ai traditori, e alcuni parlamentari come Fassina e Franceschini furono aggrediti nei pressi di Montecitorio. Questa – ha concluso l’ex ministro – è la democrazia per Grillo e compagni: l’obbedienza del gregge al capo, unico interprete autorizzato della Rete e depositario della verità. Ecco con chi Epifani sta costituendo la nuova maggioranza di fatto nella giunta per le elezioni”.
Calderoli: “Sono venuti a chiedermi i voti dei nostri senatori per un nuovo governo”
Parole e dichiarazioni di facciata a parte, nel caso di una crisi di governo innescata dalla decadenza di Berlsuconi i partiti sarebbero già preparati a nuovi scenari. Roberto Calderoli denuncia presunte manovre per la formazione di un nuovo esecutivo: “Sono venuti a chiedermi i voti dei nostri senatori per un altro governo”, ha spiegato il senatore leghista. “Ho detto sì, se ci date il premier e qualche ministro importante… Ma va’, non ci casco, sarebbe un tradimento dei nostri militanti. E poi mi vedete in Consiglio dei ministri accanto alla Kyenge?”. Il padre del porcellum continua il suo attacco nei confronti della maggioranza: “Al di là delle dichiarazioni che fanno sulla durata del governo e sulla sua stabilità, se sono venuti a chiedere i nostri voti, che al Senato sarebbero il numero perfetto per integrare una maggioranza a cui dovesse venir meno il Pdl, vuol dire che ci hanno già pensato e che lo stanno facendo anche con altri”. “La campagna acquisti non c’è solo nel calciomercato”, prosegue l’esponente leghista, “ma noi non siamo disponibili a sostenere nessun governo che in questo momento possa passare perché stanno massacrando di tasse il Paese e soprattutto il Nord”.
Giunta, mercoledì il voto. Stefàno: “Inutile spingere sull’acceleratore”
Intanto i tempi sull’arrivo del voto in aula restano però ancora molto incerti. La Giunta per l’immunità del Senato ha accolto la proposta del presidente Dario Stefano di votare mercoledì 18 settembre sera la relazione di Andrea Augello, ma la tattica dilatoria del Pdl non consente di fissare una tempisitica certa per l’approdo del voto a Palazzo Madama. E’ lo stesso esponente di Sel a non volere mettere fretta ai senatori della Giunta. “Credo che non sia necessario spingere sull’acceleratore in una procedura fine a se stessa ma che sia necessario assumerci la responsabilità di essere rigorosi, seri e nel rispetto della legge”, ha spiegato il presidente della Giunta per le elezioni. “Eviterei di caricare la data di mercoledì e quell’appuntamento di significati eccessivi se non quelli appunto di un procedimento”, ha aggiunto Dario Stefano. “Non credo che si tratti di definire tempi lunghi o corti, ma di definire un processo nel rispetto dei regolamenti, e quindi anche del diritto di difesa”.