Con un blitz eseguito la sera del 12 settembre dal Corpo Forestale su disposizione dell’autorità giudiziaria, i quattro tursiopi ospitati dal Delfinario di Rimini sono stati prelevati e inviati a Genova, dove saranno ospitati dal locale Acquario. Si tratta di un sequestro preventivo basato sulle risultanze delle indagini del sostituto procuratore Cerioni, che configurano il reato di maltrattamento animale.
Non c’è dubbio che i delfini di Rimini fossero mantenuti in condizioni totalmente inadatte alla loro natura, quella di mammiferi che in decine di milioni di anni si sono evoluti per vivere in uno spazio acquatico senza confini. Questo, si sa, è il destino comune di tutti i cetacei confinati a vita nello spazio angusto di una vasca, in qualunque parte del mondo si trovino, e di qualsiasi specie si tratti. In questo caso, tuttavia, la situazione è ancora più grave perché a Rimini nemmeno le norme della legge italiana – a mio modesto parere troppo permissive – erano rispettate. Gli spazi erano insufficienti, le strutture e le condizioni ambientali (temperatura, rumore) inadeguate, il ritmo degli spettacoli troppo intenso. Peggio ancora, l’innaturale coabitazione coatta di quattro esemplari di sesso diverso e di differenti età in uno spazio così ristretto non consentiva alla piccola comunità di mantenere le opportune distanze dagli individui più aggressivi, che per questo erano oggetto di somministrazione cronica di calmanti.
Il sequestro dei delfini e il loro spostamento nella nuova e più moderna struttura di Genova era certamente la misura d’urgenza più di buon senso per togliere gli animali dal piccolo infernale ergastolo al quale erano stati silenziosamente condannati. Lo stress del breve trasferimento e del cambiamento sarà presto superato, perché l’Acquario di Genova, pur essendo anch’esso una struttura dove gli animali sono costretti alla cattività, dispone di spazi maggiori, costituiti da diverse vasche dove i delfini più aggressivi all’occorrenza possono essere separati, il personale tecnico è qualificato, e gli animali non sono costretti a dar spettacolo.
Certo, sarebbe stato meraviglioso portare i delfini in mare e dar loro la libertà. Purtroppo, pur nella lodevolezza delle intenzioni, liberare i delfini equivale a condannarli a una situazione ancor peggiore. Tre dei quattro tursiopi di Rimini sono nati in cattività, e non sanno nemmeno da che parte si comincia per sopravvivere nell’ambiente ostile del mare aperto; per esempio, catturarsi da mangiare. Alfa, la vecchia madre dei tre, catturata nel Golfo del Messico più di un quarto di secolo fa, anche qualora si ricordasse qualcosa dell’arte della sopravvivenza avrebbe bisogno di mesi di difficile e incerta riabilitazione. E comunque rilasciare in Mediterraneo delfini “stranieri” è cosa da evitare per via del rischio di trasmettere patogeni alieni alle popolazioni native, il cui sistema immunitario è già indebolito dall’inquinamento. In queste situazioni l’ideale sarebbe poter disporre di un “santuario”, uno spazio rinchiuso ma di grandi dimensioni e le cui condizioni si avvicinino il più possibile a quelle naturali – per esempio, una baia recintata – dove i delfini che provengono dalla cattività possano essere, ove possibile, riabilitati alla libertà, o altrimenti mantenuti a pensione in maniera decorosa fino alla morte. Un simile santuario, purtroppo, esiste soltanto nella nostra immaginazione.
A prescindere dalla pur legittima ansietà per il benessere e il futuro dei quattro delfini di Rimini, è comunque il significato dell’azione giudiziaria di questi giorni nei confronti dell’azienda che li teneva prigionieri che trascende con prepotenza il caso di specie. La sensibilità del pubblico ha subito una profonda trasformazione negli ultimi decenni, e la nostra società non è più pilatesca come un tempo nei confronti della cattività degli animali selvatici, soprattutto quando si tratta di delfini che così fortemente richiamano alla mente il senso della libertà. Si sono ingrossati i ranghi di chi ritiene che i delfinari – così come gli zoo, i circhi e altri tipi di ménageries – appartengano ormai al passato, e debbano quindi scomparire. La legge italiana che consente ai delfinari di esistere è una legge vecchia e superata: fatta oggi rispettare per la prima volta, migliorerà la vita di quattro delfini, ma occorre andare oltre.
È giunto il momento di voltare pagina, con determinazione e creatività.