Vede la vie en rose la ministra Beatrice Lorenzin quando parla di efficace applicazione della 194 con qualche criticità locale e interpreta la relazione annuale sull’interruzione volontaria di gravidanza. Ma il rosato ritratto pare più un tappeto sotto al quale nascondere la realtà vissuta dalle donne e dai medici non obiettori e omettere le drammatiche conseguenze della mancata applicazione della 194.
E’ vero che gli aborti sono calati gradualmente dal 1982 del 54,9% ma il dimezzamento del tasso di abortività può essere attribuito ad un maggiore utilizzo degli anti-concezionali o dipende da altri fattori? In un Paese dove non sono mai stati fatti progetti di informazione tra la popolazione giovanile sulle pratiche contraccettive (peraltro sempre condannate dalla Chiesa cattolica) e dove i consultori quando non sono stati presi di mira (nel Lazio con la proposta di legge Olimpia Tarzia) sono stati falcidiati, è difficile dirlo.
Il dato potrebbe essere attribuibile più al calo della popolazione femminile in età fertile perché il nostro Paese è invecchiato e l’indice di natalità è tra i più bassi d’Europa. Per confermare che gli aborti sono in calo grazie ad una maggiore conoscenza ed uso di pratiche contraccettive si dovrebbe fare una indagine sugli aborti clandestini che il ministero della Salute non svolge dal 2005. Perché? Potrebbe emergere che una minore ricettività delle strutture pubbliche a causa dell’obiezione di coscienza porta le donne all’aborto clandestino? Come è possibile non valutare la correlazione tra il calo significativo del 4,9% degli aborti rispetto al 2011 con l’obiezione di coscienza che in alcune regioni arriva oltre il 90%?
A causa degli obiettori le donne che intendono abortire migrano di struttura in struttura, da una regione ad un altra e talvolta vanno all’estero dopo essere state rimpallate tra diversi ospedali italiani; vanno all’estero soprattutto le donne che vogliono fare un aborto terapeutico e sono al limite con i tempi.
Silvana Agatone della Laiga illustra alcuni dati: a Nizza non accettano più donne italiane, la metà delle donne richiedenti un aborto. Allo Spital Oberengadin in Svizzera il 40% delle pazienti sottoposte ad Ivg sono italiane; in Gran Bretagna le italiane sono seconde solo alle irlandesi e spendono fino a 780 sterline per l’ivg terapeutica.
Nel 2009 risultava che nelle Marche, una delle regioni con più alto numero di obiettori, il 24,7% delle Ivg era stao fatto fuori provincia e il 9,9% fuori regione; a Roma nel 2012, il 34% delle donne che hanno chiesto di abortire proveniva in parte dalla provincia e in parte dal resto della regione. In Lombardia in molte strutture è stata messa la regola che si praticano Ivg alle prime 15 donne che si presentano (o 12 o 20 o 6 a settimana a seconda delle strutture) questo significa che le richieste sono molte di più. A Bari i ginecologi non obiettori stanchi di essere oberati di lavoro hanno sollevato tutti obiezione e le donne sono state costrette a rivolgersi agli ospedali di Monopoli e Putignano. Nel Veneto le donne di Bassano si spostano ad Asiago o vanno in Campania.
La ridistribuzione del personale come soluzione prospettata dalla ministra non risolverebbe la situazione, a meno che non si faccia il miracolo di moltiplicare i medici non obiettori come i pani e i pesci. La redistribuzione è già praticata con la trasferta di medici non obiettori oppure con chiamate a gettone: in questo modo l’obiezione di coscienza ricade con dei costi sullo Stato, con un esborso extra di denaro pubblico.
Nella relazione ministeriale si tace sul disagio, l’umiliazione e l’angoscia delle donne costrette a spostarsi di città in città e di regione in regione, dall’Italia all’Estero, e non si indaga più sullo spettro dell’aborto clandestino. La ministra Lorenzin ha parlato di applicazione efficace della legge, efficace per chi?
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