In questi giorni tutti i quotidiani e i periodici del mondo ricordano il 15 settembre 2008, quando uno tsunami economico-finanziario è arrivato a colpire gli Stati Uniti dilagando presto in tutto il mondo sviluppato. Qui negli Usa alcuni periodici dedicano addirittura tutta la rivista all’argomento, tuttavia i molti dettagli, seppur necessari ad una analisi completa del fenomeno, nell’insieme della vicenda possono sviare dalla visione d’insieme. Infatti quando facevo le analisi economico-finanziarie per la concessione del finanziamento per conto di un noto Istituto di Credito milanese, noi analisti facevamo per il Consiglio d’Amministrazione della banca relazioni (che chiamavamo “istruttorie”) di diverse decine di pagine, ma il tutto veniva anche riassunto molto sinteticamente all’inizio della relazione in una o due pagine di sintesi, quelle cioè che leggevano i consiglieri per decidere se approvare o no la proposta di affidamento. La macroeconomia ha pressapoco questa funzione: mostrare in sintesi, ai cittadini e ai politici, gli effetti che l’insieme delle evoluzioni economiche e finanziarie hanno sul sistema globale, e di ritorno sulle economie dei singoli paesi.
Esaminando la crisi in questo modo bisogna quindi partire non dal 2008, anno in cui la “bolla” economico-finanziaria è scoppiata a livello globale, ma da almeno dieci anni prima, quando negli Usa è stata cancellata la legge “Glass-Steagall” (emanata nel 1933 per evitare il ripetersi della terribile crisi del 1929 che diede avvio ad una lunga depressione economica). Quella legge separava le normali attività delle banche commerciali da quelle autorizzate a raccogliere denaro destinato a investimenti durata medio-lunga e per quasi 70 anni ha funzionato molto bene, ma poi i creatori della “finanza creativa” hanno ottenuto quello che volevano, subito imitati nel resto del mondo. Compreso l’Italia che, nello stesso periodo, ha cancellato la norma che separava le attività delle banche ordinarie da quelle degli Istituti di Credito Speciale che finanziavano gli investimenti.
Queste importanti modifiche legislative, insieme ad altre meno note, hanno consentito al libero mercato di fondere insieme le attività bancarie con quelle di investimento e i depositi a risparmio con quelli di puro azzardo speculativo consentendo quindi alle grandi banche e a miriadi sempre più vaste di speculatori di ogni razza e specie, di operare sui mercati di tutto il mondo usando tutte le tecniche, gli strumenti e le fantasie necessarie a guadagnare tanti soldi per se stessi e/o per i propri clienti investitori.
Inizialmente queste liberalizzazioni, necessarie per dare il via libera alle operazioni sui C.D.O. (Collateralized Debt Obligation, in Italia conosciuti come “cartolarizzazione del debito”) hanno avuto un effetto molto positivo nel mercato, rendendo liquida, cioè immediatamente utilizzabile, buona parte del debito a medio-lungo termine che prima doveva invece aspettare la regolare scadenza per poter essere riscosso.
Con la cartolarizzazione del debito si trasforma invece un debito di lunga durata, per es. un mutuo (di 10-20 o anche 30 anni) in tanti piccoli titoli di risparmio che vengono subito collocati in borsa tramite una banca e acquistati da investitori spesso totalmente ignari sulla vera natura e solvibilità di quel titolo.
Esattamente così è nata la “bolla” dei “Subprime Mortgages”: vedendo come era diventato facile trasformare i mutui in titoli immediatamente liquidabili (che i risparmiatori compravano avidamente perché promettevano ottimi rendimenti), tutte le banche e le finanziarie si sono lanciate (non solo negli Usa, ma per fortuna molto poco in Italia) a concedere mutui senza più fare con serietà e competenza analisi serie sulla solvibilità dei debitori. La “bolla” ha cominciato a crescere sempre più rapidamente finché è scoppiata. Si noti però che la bolla dei “subprime” è scoppiata di fatto nell’estate del 2007 (non nel 2008), ed è stata l’innesco che ha fatto poi scoppiare la bolla più grossa, quella di tutti i derivati finanziari che intanto avevano invaso tutto il mercato con operazioni spericolate di assicurazione del credito (gli “swaps”) e di anticipazione dei rischi (i “futures”) che si incrociavano tra di loro spesso anche più’ volte nel tentativo di eliminare i rischi o, più spesso, di farci un guadagno, se non sul saldo dell’operazione, almeno sulle commissioni che sempre gravano su qualcuno (operatori aziendali o risparmiatori).
La crisi del 2008 è arrivata quando molti speculatori, sapendo che operavano in una bolla di grandi dimensioni, hanno capito che era arrivato il momento di partire a raffica con operazioni “short”, o al ribasso, dove lo speculatore guadagna quando il titolo perde di valore. Più il titolo perde e più lo speculatore guadagna.
Contrariamente a quello che un profano può pensare, l’operazione “short” (cioè corta, perché deve concludersi in 3 giorni) è molto semplice: si apre una linea di credito finanziaria con una banca abilitata. Si prende a “prestito” da quella banca, che ce li ha in deposito da altri clienti, per esempio 1.000 titoli ABC (o un milione di titoli, la quantità dipende da quanti titoli ha in deposito la banca e da quanto è ampia la linea di credito) e li si mette in vendita ad un prezzo generalmente notevolmente più basso di quello corrente. L’operazione short deve essere chiusa entro tre giorni, quindi una stessa quantità di quei titoli deve essere riacquistata entro quel limite di tempo. Ma il prezzo nel frattempo è cambiato con un probabile ribasso, perché è la stessa vendita massiccia di quei titoli a provocarlo. In questo modo lo speculatore vende titoli che non sono suoi e provoca automaticamente un ribasso del prezzo. Se il momento è favorevole ai ribassi (come nel caso progettato da Paulson) altri speculatori lo imiteranno subito provocando un vero crollo nella quotazione di quel titolo. Perciò dopo pochissimi minuti, o anche solo secondi, è già’ arrivato il momento buono per ricomprare il titolo (restituendolo alla banca) e chiudere così formalmente l’operazione facendo quindi un lauto guadagno sulla differenza del prezzo tra quello iniziale della vendita (più alto) e quello del riacquisto (spesso molto più basso).
Il “campione” di questa tecnica e’ stato senza dubbio John Paulson (da non confondere con Hank Paulson, Segretario al Tesoro Usa a quel tempo) che tra il 2005 e il 2007, utilizzando una linea di credito concessagli dalla Goldman Sachs, è andato letteralmente a “caccia” di mutui ad altissima probabilità di insolvenza nelle aree geografiche Usa dove il valore delle case aveva raggiunto i livelli più alti, e ha fatto il pieno. Quando finalmente (per lui) nell’estate del 2007 il mercato immobiliare americano ha dato chiari segni di cedimento lui ha fatto partire dalla sua “Abacus” migliaia di operazioni short (presto imitato da altri) e ha guadagnato cosi’ rapidamente e agevolmente, grazie ai crolli di borsa, milioni di dollari mentre centinaia di migliaia di risparmiatori li perdevano.
La finanza speculativa ha infatti questa particolarità: nessun speculatore, grande o piccolo, crea vera ricchezza. Per quanto loro siano bravi, tutto quello che fanno è solo spostare la ricchezza da un posto ad un altro, ovvero da un investitore che perde ad uno che guadagna. Oppure, se nessuna delle due parti perde, significa che stanno gonfiando una “bolla” che presto o tardi scoppierà.
Infatti, ora che gli indici di borsa hanno tutti recuperato o persino superato quelli pre-crisi del 2008, e che nessuna vera efficace regola anti-crisi è stata varata nel frattempo, molti economisti si chiedono se il nuovo tsunami economico-finanziario sia già in viaggio sotto la superficie apparentemente calma del mare.
La maggiore capitalizzazione delle banche, voluta dalle nuove regole del “Basel III” per mettere le banche al riparo dal rischio di fallimento, in realtà servono solo a drenare liquidità che potrebbe essere utilizzata meglio per finanziare attività economiche reali (non finanziarie). La maggiore quantità di capitale infatti (6 -7 % richiesto dal Basel III, può solo coprire un po’ meglio il rischio di fallimento della banca, ma non potrà mai coprirlo tutto perché per coprirlo tutto la banca dovrebbe avere un capitale proprio uguale a quello del capitale amministrato. Nessuna banca al mondo ce l’ha e quelle messe meglio arriveranno si e no al 20% o giù di li’.
C’e’ un’altra particolarità di grande rilievo da considerare: raramente gli speculatori grandi e piccoli lavorano coi propri soldi. Essi usano quasi sempre i soldi nostri, cioè quelli che i comuni cittadini depositano in banca, o quelli che affidano ad un gestore di fondi nella speranza di guadagnarci qualcosa. Sui soldi dei conti correnti che la banca usa per investimenti suoi, essa non può caricare al correntista le eventuali perdite, ma se le perdite sono superiori al capitale più le riserve della banca, la banca deve dichiarare fallimento (come è successo 5 anni fa a Lehman Brother). A meno che ci sia qualcuno disposto a metterci soldi per ricapitalizzarla (come è successo proprio 5 anni fa a Goldman Sachs, che ha trovato Mr. Warren Buffet, uno dei più ricchi del mondo, disposto a immettere 5 miliardi di dollari di capitale fresco come ricostituente per tenerla in piedi).
Le grandi banche Usa, a parte la Lehman, hanno comunque tutte usufruito di un enorme sostegno finanziario (diverse centinaia di miliardi di dollari) da parte del Tesoro americano. Ora hanno già ritrovato la vecchia baldanza e restituito per intero quel prestito (con tanto di interessi) ma nessuno ha fatto, e vuol fare, nulla di serio per evitare di ritrovarsi in quella necessità. Tanto ci saranno sempre politici amici pronti ad allargare la borsa dello Stato, che i contribuenti riempiono a costo anche di pesanti sacrifici.
Quindi, ricapitolando: sono state le banche d’affari e gli speculatori a creare tutto il casino scoppiato 5 anni fa. Ma loro continuano indisturbati a fare il loro lavoro, a guadagnare un sacco di soldi e, naturalmente, a costruire nuove bolle finanziarie destinate presto a scoppiare.
Posibile che nessuno faccia nulla di veramente concreto per evitare che tutto questo si ripeta?
Inutile farsi illusioni, se questa è la strada, ci potrà anche essere il miraggio della “ripresina”, ma alla fine della strada ci sarà solo un’altra bolla che scoppia.