“Siamo state perfino citate nei telegiornali”: è la parte più deprimente del messaggio che ha riempito la posta Facebook di migliaia di donne. Un messaggio che mette insieme stupidità e dramma, non solo per un entusiasmo incomprensibile legato alle menzioni nei telegiornali (anche i serial killer sono spesso citati là) ma perché tale entusiastica popolarità è a spese di chi ha problemi seri, cioè le donne che hanno avuto o hanno un tumore al seno.
Sia chiaro: liberi tutti. Se per un quarto d’ora di presenza mediatica si vuole pubblicare sulla bacheca Facebook il colore del reggiseno (l’anno scorso) oppure il mese di nascita e una località calcolata non si sa bene come, a me sta bene. Ma non illudiamoci che serva per sensibilizzare nei confronti del tumore al seno.
Cosa significa sensibilizzare? Ricordare che il tumore al seno esiste e può colpire chiunque di noi? Grazie, lo sappiamo. Le campagne di informazione e il passaparola sono stati efficaci: adesso il problema non è sapere che ci possiamo ammalare ma conoscere gli strumenti adatti a ogni età e alla storia personale per fare prevenzione. Sapere cosa fare o non fare e dove andare per gli esami, tenersi il proprio seno oppure toglierlo come Angelina Jolie, mangiare questo o quello per rischiare meno. Il messaggio che pubblicizza il giochino non accenna a procedure di prevenzione, a siti o luoghi che la promuovano, a novità scientifiche di rilievo, a donazioni (eventuali) e Enti, Istituzioni, Fondazioni, Associazioni: insomma non fa informazione, non aiuta le destinatarie né la ricerca né le donne con il tumore al seno. Spopola su Facebook e dovrebbe essere una specie di scherzo a svantaggio degli uomini (perché?) che, ovviamente, hanno subito indovinato l’inganno e se la ridono. Riderei anche io se non ci fosse da piangere: per fare funzionare una banalissima catena web si tira in ballo il cancro al seno, e uso la parola cancro anche se non mi piace farlo perché voglio che ci si renda conto di quale confine esista tra l’informazione sanitaria doverosa e la banalità di un uso strumentale della credulità popolare.
Sulla mia bacheca ho pubblicato subito, appena un collega giornalista l’ha rilanciato, l’articolo che spiegava quale arcano si nascondesse dietro le decine di donne che dichiaravano di volere trascorrere N mesi in un luogo lontano: volevo fare saltare lo scherzo e finirla lì, ma i commenti delle donne operate al seno (le cosiddette “assistite”, non si chiamano più “pazienti”) hanno sottolineato il cattivo gusto e l’assurdità del giochino. Si sentono usate e prese in giro, a loro non va che il loro dramma (anche quando è nel passato) sia usato per alimentare quella che non è altro che una catena come le altre, che non si sa da dove parta ma certo non arriverà dove finge di volere arrivare. Cioè non sarà di aiuto ad alcuno.
Però forse anche questa volta sarà citata nei telegiornali, e allora sì che ci sarà da essere felici.