Un Paese nel quale i diritti sono volatili, incerti, vilipesi, economicizzati, volutamente mistificati, arzigogolati, artefatti. Un Paese come il nostro dove non solo è oramai fortemente radicata l’incertezza del diritto ma addirittura dove si è compiuto un simulacro di diritto. Una caterva di norme ci avvolge come bozzoli così soffocandoci. Norme spesso inutili se non incomprensibili. Norme tese volutamente a burocratizzare la nostra vita così alimentando un sistema infinito di corruzione e di inefficienza. Norme spesso mal scritte, sovente in malafede. Norme che richiamano infinitamente gli estremi di altre norme, illeggibili dunque non intelligibili. Una giurisprudenza creativa che nel tempo è divenuta fonte di diritto, nutrendosi di arbitrio e non di discrezionalità. Una giurisprudenza che cambia geograficamente, temporalmente, umoralmente. Giudici che si ergono a legislatori. A volte anche avvedutamente.

L’unica certezza nel nostro Paese è l’incertezza del diritto. Dunque dei diritti. Un Paese (af)fondato sulla illegalità sostanziale, spesso alimentata da una legalità formale. Appunto. Un’Italia che ha necessità di cambiare profondamente, a partire dalla salvaguardia dei diritti. Da poche leggi, chiare e certe nella loro applicazione. Una profonda rivoluzione non più rinviabile. Tutto questo richiede almeno 3 elementi: un legislatore onesto, saggio e capace; una magistratura rigorosa che svolga solo tale ruolo; un’avvocatura seria, credibile e preparata che tuteli al meglio i diritti. Che tali 3 elementi sussistano è lecito dubitarne.

L’avvocatura è stretta in una morsa mortale tra perdita di autorevolezza e credibilità presso l’opinione pubblica (sovrapposta ad alcuni mercenari senza etica che male ci hanno rappresentato in Parlamento), dopata da un giornalismo d’accatto, indebolita da una governance inamovibile ed impermeabile a qualsiasi cambiamento invece di governarlo e che ha compiuto gravi sbagli nel passato (l’aver accettato i varchi enormi della Calabria e dintorni per l’accesso alla professione; difese totalitarie e oltranziste quali quella dei tribunali tagliati; la sopravvivenza degli Ordini al taglio dei tribunali quasi che siano immortali; tutto ciò perseverato da infiniti scioperi che tracciano trincee invalicabili) e scelte legislative palesemente disoneste, volte solo a svendere l’autonomia dell’avvocatura a Confindustria e ad una parte della magistratura incapace di organizzare al meglio l’efficienza del processo. Un legislatore che vuole surrettiziamente mettere mano sulla Cassa(forte) che contiene oltre 6 miliardi di patrimonio, adoperando Istat e Consiglio di Stato per trasformare l’ente da fondazione privata in ente pubblico.

L’avvocatura in questi giorni è chiamata a decidere il proprio futuro. Col voto rinnoverà una delle sue due istituzioni (forensi). Un momento molto importante in una fase storica, sociale, economica eccezionalmente grave. L’avvocatura è composta per metà (110.000) da giovani di 43 anni, per circa il 45% da donne. Ma non nella governance, molto gerontocratica, maschile, conservatrice. Il voto rispecchia una certa disaffezione nell’afflusso e vede partecipare soprattutto una schiera di pensionati o pensionandi, tesi a non cambiare alcunché. Il voto è fortemente condizionato dalle liste degli Ordini che intendono così continuare ad egemonizzare l’istituzione (della quale però sono già “organi”), intaccando il voto e la libertà di altre liste ed associazioni meno presenti. Ordini che ovviamente scelgono i candidati al proprio interno con logiche politiche meramente matematiche. Il voto è così blindatissimo e disillude i giovani.

La politica forense rispecchia in toto la politica nazionale, cogliendone il peggio. Schiere di candidati ultraeletti ed ultraeleggibili, poltronisti della prima ora, bramosi del potere fine a se stesso. Ottuagenari evergreen. Giovani sfiduciati ed insensibili. Il non voto come scelta consapevole o ancor peggio come inconsapevole scelta. Liste bloccate. Campagne infarcite di propaganda sottopelle, presidiato dal potere disciplinare degli Ordini. Ai quali finalmente dovrà essere sottratto.

Avvocati chiamati a votare per disegnarsi il futuro in un momento decisivo. Perché non c’è nulla di peggio di chi si gira dall’altra parte e decide di non governare il proprio destino. Di chi sussurra “io non voto” andandone fiero. Di chi consegna deleghe in bianco al politicante professionista, satollo e beato da tanta indifferenza. Che il futuro sia disegnato da chi ha un futuro e non da chi ha vissuto in un glorioso passato, egoisticamente però ipotecando il futuro di altri! Occorre cambiare passo e destino.

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