Ci sono tanti partiti che hanno cambiato nome in Italia ma non ne ho mai visto uno dove pure i parlamentari devono aspettare i Tg per scoprire se devono dire “Noi del Pdl” oppure “Noi di Forza Italia”. Il ripetuto rinvio del videomessaggio di Silvio Berlusconi porta con sè un effetto collaterale surreale: l’intera struttura del centrodestra non ha la più pallida idea di quale sarà il suo ruolo, la sua posizione, il suo potere, da domani in poi. Problemi loro, si dirà. Non è esattamente così. L’ impalcatura delle larghe intese, e il sostegno che gli dà ogni giorno il Quirinale, sono fondate su un presupposto più volte enunciato: la collaborazione tra “i due principali partiti del Paese” in nome del superamento dell’emergenza. Il paragone tra l’epoca della solidarietà nazionale tra Pci e Dc è stato speso a piene mani per chiarire il concetto. Così come quello della Grosse Koalition tedesca.  Ma si può definire “partito” un gruppo di eletti e dirigenti che non sa neppure se, quando e come cambierà denominazione e assetti gerarchici? Se domani sarà guidato da Bertolaso e Verdini o dal cagnolino Dudù?  E si può affidare la sorte di un’Italia allo stremo, tornata ad essere malignamente “attenzionata” dall’Europa, ad un patto societario zoppo fino a questo punto?

La Dc di Moro, o la Cdu della Merkel, rappresentavano interessi diffusi  con una classe dirigente articolata e influente, che teneva alla continuità del partito più che alla salvezza del leader di turno. Nel Pdl conta solo una persona e una parola, e lo stesso tema del consenso viene ossessivamente riferito a lui, come se il resto non esistesse e non servisse a nulla. Al punto che “gli altri” non sanno nemmeno, in questi giorni, a quale sigla appendere le loro dichiarazioni. Il governo Letta, oltre il racconto che si cerca di darne, è un patto tra il principale partito e la principale “persona” del Paese. Una coalizione anomala fondata sull’accordo di una pluralità di soggetti politici e istituzionali con un singolo, potentissimo, imprenditore della politica, dei media e di molto altro. Uno che informerà il suo partito che ha cambiato nome e dirigenti  con uno spot in tv, forse domani, forse dopo, e con la stessa assoluta onnipotenza deciderà se gli conviene restare al governo o se no, se sosterrà Letta o lo farà cadere, e soprattutto  in cambio di che cosa.

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