L'associazione per la difesa dei consumatori vuole spiegazioni sul perché la Cassa di risparmio di Ferrara nell'aprile 2011 abbia autorizzato la vendita delle azioni di ricapitalizzazione ai piccoli risparmiatori nonostante le perdite già presenti
Che la Cassa di Risparmio di Ferrara fosse in crisi ben prima del suo commissariamento i vertici lo sapevano. O almeno non potevano non saperlo. E allora perché fu autorizzata la vendita delle azioni di ricapitalizzazione ai piccoli risparmiatori? È quanto sostiene in estrema sintesi il Codacons, che ha presentato un esposto per chiedere i relativi danni a Bankitalia e Consob. Il ragionamento dell’associazione di consumatori è semplice. E parte dall’aumento di capitale da 150 milioni di euro varato nell’aprile del 2011 dal cda di Carife. L’operazione portò alla sottoscrizione di circa la metà dei vecchi soci e di 5.700 nuovi azionisti, per un oltre sette milioni di nuove azioni ordinarie, al prezzo di 21 euro ognuna.
A questo punto il Codacons sfoglia il calendario e ricorda che “è fatto notorio che l’istituto bancario versa, in realtà già a partire dal 2009, in una situazione economico-finanziaria oltremodo gravosa, tanto che il ministero delle finanze lo ha sottoposto ad amministrazione straordinaria lo scorso 27 maggio”. Una procedura disposta su proposta della Banca d’Italia in seguito all’ispezione avvenuta nel marzo 2011. “Ma l’allarme in merito alla critica situazione Carife – incalza il Codacons – era scattato già negli anni addietro. Nel 2010, prima dunque dell’aumento di capitale, la magistratura aveva già aperto l’inchiesta sulla mala gestione dei vertici Carife in relazione alle acquisizioni Vegagest, facendo emergere il quadro drammatico di un’amministrazione non solo imprudente ma anche illegale dei vertici Carife che ha condotto, come noto, all’attuale buco di 160 milioni di perdite”.
Si arriva quindi, seguendo il ragionamento dell’associazione di consumatori, alla crisi della banca di Ferrara, “iniziata nel 2009, che ha portato con sé la perdita di valore del relativo titolo azionario. Nel febbraio del 2009 il titolo valeva 40,6 euro, a luglio il titolo raggiunge il minimo storico di 5,77 euro”.
Questa perdita del titolo azionario “doveva essere prevedibile”, si legge nell’esposto, così come il “rischio, legato non solo all’andamento generale del mercato ma anche al critico e pericolante assetto patrimoniale-finanziario specifico dell’istituto bancario”. Fattori dei quali “avrebbero dovuto essere informati i piccoli risparmiatori che sono stati invitati all’acquisizione e che oggi si ritrovano a dover pagare il tentativo maldestro di un’operazione di salvataggio bancario”.
Su queste basi il Codacons chiede a Banca d’Italia e Consob chiarimenti in merito all’attività di vigilanza e tutela del risparmio relativamente all’aumento di capitale per 150 milioni di euro avvenuto nel 2011 “che ha condotto ad una perdita di valore delle azioni Carife attualmente pari circa al 72% del capitale investito, con grave pregiudizio dei sottoscrittori e dei nuovi piccoli azionisti”. Alla richiesta di spiegazioni si aggiunge anche quella di “risarcire i risparmiatori cui sono state vendute le azioni di ricapitalizzazione nonostante fosse noto il dissesto della banca”.