L'ex capo economista dell'istituto dei regolamenti internazionali William White: "Questa situazione mi fa pensare al 2007, ma questa volta, forse, è anche peggio. Tutti gli squilibri del passato ci sono ancora”
Nell’attesa di conoscere come e quando si materializzerà l’attesa inversione di rotta dellaBanca centrale america, la Fed, il mercato mondiale è chiamato a fare i conti con l’espansione senza precedenti del credito a rischio. Un fenomeno particolarmente evidente nel corso dell’ultimo anno, con i prestiti più difficili da riscuotere capaci di raggiungere un ammontare complessivo superiore a quella registrato alla vigilia del crac di Lehman Brothers. È l’allarme emerso nei giorni scorsi con la pubblicazione dell’attesa revisione trimestrale della Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI). “Le emissioni di obbligazioni e prestiti nel segmento più rischioso sono risultate assai vigorose, in un clima analogo all’esuberanza che aveva preceduto la crisi finanziaria mondiale”, si legge nella relazione dell’autorità di vigilanza.
Le cifre sono a modo loro impressionanti. Nell’insieme delle obbligazioni emesse dalle imprese europee, quelle ad alto rendimento, ovvero le più rischiose, superano ormai il 15%, contro il 12,5% circa del 2012. Ma a preoccupare maggiormente è l’attività di finanziamento delle banche, con un ricorso senza precedenti al cosiddetto debito subordinato, basato cioè sull’emissione di titoli che offrono al prestatore garanzie minori rispetto alle obbligazioni più comuni in caso di default dell’emittente. Da un anno a questa parte, rileva la BRI, queste emissioni “sono quasi decuplicate negli Stati Uniti e sono aumentate di 3,5 volte in Europa, attestandosi rispettivamente a 22 e 52 miliardi di dollari nei dodici mesi fino a metà 2013”.
In forte ascesa i cosiddetti “leveraged loans”, ovvero prestiti erogati a soggetti particolarmente indebitati e quindi a maggiore rischio default (un po’ come i mutui subprime, alla base della crisi). “La quota di questi prestiti sul totale delle nuove sottoscrizioni – scrive ancora la BRI – ha raggiunto il 45% a metà 2013, un livello superiore di 30 punti percentuali rispetto al minimo registrato durante la crisi e di 10 punti percentuali al massimo pre-crisi”.
Semplificando si può sintetizzare in questo modo: dopo il caos del crac Lehman, le banche centrali di tutto il mondo hanno cercato di stimolare la ripresa favorendo la circolazione del credito. Per far ciò hanno ridotto al minimo i tassi di riferimento (il costo del denaro fissato dalla Fed e dalla Bce, per intenderci) consentendo alle banche private di indebitarsi ad interessi molto bassi. La disponibilità di credito a basso costo ha indotto gli operatori a cercare rendimenti particolarmente elevati, facendo così aumentare la domanda di prodotti più rischiosi (maggiore è il rischio, maggiore è il rendimento). Di recente la Federal Reserve si è detto pronta a un ripensamento di questa linea politica in corrispondenza di un miglioramento dei dati chiave della ripresa (a cominciare dall’occupazione). Questa prospettiva ha provocato tensioni sul mercato, ma “non ha scalfito la relativa attrattività dei titoli più rischiosi”.
Sentito dal Telegraph, l’ex capo economista della BRI, oggi all’Ocse, William White ha rincarato pubblicamente la dose: “Questa situazione mi fa pensare al 2007, ma questa volta, forse, è anche peggio”, ha dichiarato al quotidiano britannico. “Tutti gli squilibri del passato ci sono ancora”, ha aggiunto. “I livelli complessivi di debito pubblico e privato in rapporto al Pil nelle economie avanzate sono aumentati del 30% e a questo adesso si aggiunge il problema della bolla dei mercati emergenti che stanno vivendo la fine del grande ciclo di espansione”.
Il principio è sostanzialmente lo stesso. La disponibilità di credito facile degli ultimi anni ha stimolato gli investimenti nelle economie più dinamiche gonfiando questi mercati di credito e inflazionando il valore delle loro piazze finanziarie. I primi accenni ad un possibile arretramento della Fed (ovvero a una riduzione del credito e quindi della liquidità disponibile) fatti dal governatore uscente Ben Bernanke alla fine di maggio hanno già provocato un forte calo degli indici azionari delle economie emergenti oltre che un deprezzamento delle loro monete. Il timore, inutile negarlo, è che una futura contrazione della liquidità possa avere un forte impatto su tutti i mercati con il rischio di mandare in default i prestiti più rischiosi.
Nessuno può dire con certezza quando i tassi di interesse delle banche centrali (Fed in testa) inizieranno a salire, ha dichiarato allo stesso Telegraph il capo ricerche della Bri, Claudio Borio, per questo “la sfida sta nell’essere preparati. Il che significa essere prudenti, limitare la leva (l’investimento costruito sul’indebitamento, ndr) ed evitare la tentazione di credere che il mercato resterà liquido anche sotto stress, ovvero l’illusione della liquidità”. Il primo fattore della bolla speculativa, insomma.