Psa (Peugeot-Citroën), il colosso automobilistico francese, va male. Anzi, malissimo: la situazione delle vendite e sul fronte della solidità finanziaria è ancora peggiore di quella dei suoi concorrenti europei, Fiat compresa, tutti ostaggio della crisi. Psa ha bisogno di liquidità, di capitale. E con urgenza. Lo Stato francese ha già promesso, se necessario, di entrare nel capitale. Ma il suo apporto probabilmente non sarebbe sufficiente. Nella ricerca affannosa di nuovi investitori da parte di Philippe Varin, l’amministratore delegato, spalleggiato dalla famiglia Peugeot che ancora controlla il gruppo, alla fine sono spuntati, inevitabili, i cinesi. E in particolare Dongfeng.

Si tratta del terzo costruttore nel Paese asiatico, con oltre tre milioni di veicoli venduti l’anno scorso. In Cina è già partner di Peugeot-Citroën (una joint-venture produttiva), ma anche di altri marchi come il giapponese Nissan che a sua volta si trova nel girone del francese Renault. Tutto questo potrebbe porre qualche problema, ma non insormontabile. Secondo un’indiscrezione apparsa su Les Echos, il principale quotidiano economico francese, in genere bene informato, le trattative fra Psa e Dongfeng per un’alleanza più globale (con liquidità apportata dai cinesi) sarebbero già molto avanti. Due banche internazionali sono al lavoro per definire l’accordo. Stamani i vertici di Psa hanno opposto un “no comment” rispetto alla notizia ma alla Borsa di Parigi l’azione Psa guadagnava. Tutti sembrano credere alla possibilità. O meglio ci sperano, “perché è l’ultima spiaggia per Peugeot-Citroën – ha sottolineato Bernard Jullien, direttore di Gerpisa (centro studi sull’industria automobilistica) – non vedo chi altri possa immettere nuova liquidità in Psa a parte i cinesi di Dongfeng”.

Allo studio, come indicato da Les Echos, ci sono due possibilità. Primo: Dongfeng entrerebbe nel capitale del colosso francese mediante un aumento di capitale. Esiste a questo proposito un ostacolo: conciliare l’eventualità con la presenza all’interno di Psa di un altro gruppo esterno, l’americana General Motors. L’alleanza con Gm venne annunciata all’inizio del 2012 e ha portato al controllo da parte degli americani del 7% di Psa. L’intesa prevedeva, inoltre, che, nel caso un altro partner fosse entrato nel capitale superando la quota del 10%, Gm si sarebbe potuto opporre. Seconda opzione: creare una joint-venture esterna al gruppo fra Peugeot-Citroën e Dongfeng, attiva sui mercati emergenti, anche perché l’alleanza con General Motors (che ha deluso e non poco gli analisti del settore e probabilmente la stessa famiglia Peugeot) si è limitata a sinergie produttive solo in Europa e non è andata oltre, neanche verso la fusione fra Psa e Opel, controllata di Gm nel Vecchio continente, opzione prospettata inizialmente. Nel caso di questa nuova joint-venture con i cinesi, sarebbe da definire l’area di azione (Dongfeng vuole inserirci anche la Russia e l’America latina, mercati che vanno ancora molto bene e dove i cinesi ambiscono a svilupparsi). Ma, in ogni caso, anche questo tipo d’accordo prevederebbe l’apporto di cash da parte di Dongfeng. Perché di quello Psa ha bisogno. E a breve termine.

A parte i problemi strettamente finanziari, Psa non riesce a risollevarsi nelle vendite, soprattutto sul mercato europeo, che assorbe ancora il grosso della sua produzione. Proprio nei giorni scorsi Acea, l’Associazione europea dei costruttori automobilistici, ha pubblicato gli ultimi dati, relativi ad agosto, sulle vendite nel Vecchio continente. Ebbene, Psa ha accusato una riduzione del 17,9% su base annua. Dall’inizio dell’anno il calo è del 12,3% contro un meno 5,2% per il mercato europeo in generale. Nel frattempo il rivale Renault, grazie al successo delle vetture low cost della Dacia, ha visto le sue vendite calare ‘solo’ del 2,2 per cento. Come indicato dagli esperti del settore, uno degli handicap più forti per Psa è la quota ancora elevata della sua produzione concentrata in Francia, con costi di lavoro ai massimi a livello europeo.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Governo verso la revisione del deficit. Rischia di superare soglia 3% del Pil

next
Articolo Successivo

‘Il riformista che non c’è’: sanità tra invarianza e cambiamento

next