La Procura ha inviato l'avviso a Zoia Veronesi, storica collaboratrice dell'ex segretario del Pd. Al centro del lavoro della magistratura il ruolo della donna avuto a Roma per decisione della Regione come "raccordo con le istituzioni centrali e con il Parlamento". Ma secondo le accuse non ha mai svolto questa attività
La Procura di Bologna ha inviato l’avviso di fine indagine a Zoia Veronesi, storica segretaria dell’ex segretario del Pd Pierluigi Bersani, per truffa aggravata ai danni della Regione Emilia-Romagna. Al centro dell’inchiesta, condotta dal sostituto procuratore Giuseppe Di Giorgio, il suo ruolo avuto a Roma per decisione della Regione guidata da Vasco Errani come “raccordo con le istituzioni centrali e con il Parlamento”. La notizia dell’avviso – atto che di solito precede la richiesta di rinvio a giudizio – è riferita dal Corriere di Bologna e trova conferme in ambiente investigativo.
La truffa si sarebbe concretizzata nel non aver svolto l’attività a cui Veronesi era stata chiamata. E l’ammontare del raggiro – per l’ipotesi di accusa – sarebbe quindi relativo alla retribuzione, circa 140mila euro lordi di stipendio più i rimborsi, avuta dalla Regione (con un inquadramento da dirigente professionale), dal primo giugno 2008 al 28 marzo 2010, periodo in cui avrebbe lavorato per Bersani a Roma. Poi si dimise dalla Regione e venne assunta dal Pd. Con lei c’è un altro indagato, Bruno Solaroli, ex capo di gabinetto di Errani, già parlamentare e sindaco di Imola. A mettere in moto l’inchiesta fu nel marzo 2010 un esposto dell’ex deputato Enzo Raisi.
A Veronesi e Solaroli sono contestati concorso e continuazione in truffa aggravata. La prima perché – quale dirigente professionale nel gabinetto del presidente della Giunta regionale, con il ruolo di responsabile del raccordo con le istituzioni centrali e con il parlamento (la posizione fu istituita ex novo con determinazione del 27 maggio 2008) – ometteva, per l’accusa, di dedicarsi all’attività dovuta sia nella sede bolognese, che nelle missioni in Roma. Il secondo, quale capo di gabinetto del presidente della Giunta regionale, perché esprimeva una valutazione positiva sull’operato della Veronesi nelle tre verifiche annuali 2008, 2009, 2010.
Così facendo i due, secondo la Procura, inducevano in errore circa il diligente e regolare adempimento delle prestazioni lavorative la Regione Emilia-Romagna, che corrispondeva alla Veronesi, rimborsi di spese vive per missioni per 16.607,89 euro (per 2008, 2009, 2010) e l’integrale versamento dello stipendio (140.737 euro, sempre per lo stesso periodo).
Per l’avvocato Michele Facci (capogruppo Pdl in Comune a Bologna) che preparò l’esposto poi firmato di Raisi, all’epoca suo collega di partito, la presenza di un avviso di fine indagine significa “che la Procura ha ritenuto che gli elementi da noi portati all’attenzione fossero quanto meno pertinenti. Poi la presunzione d’innocenza vale fino al terzo grado di giudizio”.
Diversa la reazione dell’avvocato Paolo Trombetti che difende Zaia Veronesi: “Dagli atti depositati non risulta alcun elemento di fondatezza delle accuse rivolte alla signora Veronesi, che respingiamo fermamente”. Veronesi, ha proseguito il legale parlando con l’ANSA, “ha sempre svolto in modo corretto le funzioni assegnatele dalla Regione nella sua attività di raccordo con le istituzioni parlamentari. Non ha mai posto in essere alcunché di illecito e siamo certi che la vicenda si concluderà con il pieno riconoscimento dell’infondatezza dell’accusa”. E’ possibile che l’indagata chieda di farsi sentire dal pubblico ministero, anche se su questo punto il legale non si è sbilanciato.