Pochi giorni fa a Rimini il sequestro di quattro delfini a causa delle cattive condizioni, ora l'annuncio dei proprietari. L'incontro con l'amministrazione comunale ha portato nuove garanzie e aiuti per una riapertura imminente. Critici gli animalisti: "Non si possono rinchiudere creature in vasche e tenerle prigioniere a fini di lucro"
Fino a qualche giorno fa il capitolo relativo al delfinario di Rimini sembrava definitivamente chiuso. La procura, dopo la segnalazione del Cites, organo del corpo forestale dello stato, aveva disposto il sequestro dei 4 tursiopi ospitati all’interno della struttura per “maltrattamento nei confronti degli animali” e l’impianto, con una sola vasca dalla forma circolare, era stato costretto a chiudere i battenti perché “inadeguato”. Anzi, “non a norma”. A “sorpresa”, almeno per le associazioni animaliste che avevano applaudito alla decisione del pm Marino Cerioni di sottrarre forzatamente gli animali alla struttura di Rimini, è il sindaco eletto in quota Pd Andrea Gnassi ad aprire uno spiraglio in grado di prefigurare un futuro per il Delfinario. E chi credeva che il Comune non avrebbe concesso le autorizzazioni necessarie a costruire le due vasche aggiuntive fondamentali per mettere a norma l’impianto, “non dopo quello che ha rilevato il Cites”, spiegano sul web alcuni cittadini riminesi, è rimasto deluso.
“L’incontro con il sindaco Andrea Gnassi è stato positivo – conferma Massimiliano Bacillieri, legale rappresentante della titolare Monica Fornari, figlia di Nemmo, che nel 1968 costruì il Delfinario – e abbiamo finalmente riscontrato quell’apertura che attendevamo da tempo in merito al progetto esecutivo depositato e protocollato circa un mese fa. Il sindaco si è detto disponibile a darci una mano a risolvere i tanti problemi emersi in relazione ai lavori necessari per adeguare l’impianto alla normativa vigente, nel minor tempo possibile. Speriamo che il Comune porti avanti ciò che ci è stato detto”. A questo punto, continua l’avvocato, la parola passa alla conferenza di servizi, ai tecnici insomma. Ma un passo è stato fatto. Perché se qualche settimana fa la proprietà chiedeva all’amministrazione una dimostrazione “della volontà politica” di salvare l’impianto, quel segno è arrivato.
“Molti cittadini ci hanno espresso vicinanza” chiosa Bacillieri, in riferimento al gruppo nato su Facebook e denominato “A sostegno del Delfinario di Rimini, sì alla riapertura”, che in soli tre giorni ha ottenuto oltre 1.200 ‘like’, “ma per salvare la struttura abbiamo bisogno anche delle istituzioni”. Gnassi, comunque, una mano al Delfinario in passato l’aveva data: aveva scritto di suo pugno al ministero della Salute per sollecitare “il rilascio di una proroga per l’adeguamento della struttura alle normative vigenti”. E nel respingere le critiche rivolte alla città, accusata di “speculare sugli animali per far divertire i turisti”, ha precisato: “Questa accusa la spediamo al mittente. L’amministrazione è sensibile alle vicende che riguardano gli animali. Però i delfinari esistono in tutto il mondo. Rimini non sfrutta i delfini. Quello che dobbiamo fare è vigilare sui maltrattamenti. Ci sono leggi nazionali da rispettare, il Comune non può mettere limitazione a questi spettacoli, chi l’ha fatto, ad esempio sugli animali al circo, ha perso al Tar”.
Il tema, comunque, in città è di quelli che divide. Perché a pesare sulla gestione del Delfinario c’è quel rapporto del Cites, che descrive la mancanza di elementi basilari, fondamentali a garantire il benessere degli animali, come i “ripari dal sole e dalla vista del pubblico, un sistema di raffreddamento e di pulizia adeguata dell’acqua, un idoneo programma di trattamenti medico veterinari”. I delfini, poi, erano “costretti a vivere – sottolineava ancora l’organo della forestale, che aveva sanzionato la proprietà per 18.000 euro – in una convivenza forzata” che rischiava di compromettere la loro salute psichica e fisica. E venivano trattati con dosi massicce di “tranquillanti” somministrati “per inibire i problemi di aggressione intraspecifica”, nonché di “cure ormonali, anche in questo caso in modo continuativo e prolungato, per non far esprimere i comportamenti legati alla maturità sessuale e impedire la riproduzione in consanguineità”. Insomma, soffrivano costretti in quelle particolari condizioni di cattività.
Proprio come avevano raccontato anche le associazioni Enpa, Marevivo e Lav, che nel 2012 hanno condotto un’indagine per verificare le condizioni di vita dei tursiopi nei delfinari italiani. Con un’etologia “incompatibile con la detenzione – racconta Sabrina di Lav – i delfini rinchiusi nelle vasche sono creature tenute prigioniere e sfruttate a scopo di lucro. Perché non ci può essere nessun fine educativo nel mostrare ai bambini animali in gabbia, ridotti macchine da cibo e da intrattenimento, costretti a modificare il proprio comportamento in maniera innaturale fino alla morte, spesso prematura e dovuta alle circostanze”.
E se sul web c’è chi difende quello che viene considerato come “un simbolo” della perla della Riviera, numerosi sono anche coloro che si appellano alle istituzioni per bloccare la riapertura del Delfinario. “Smettiamola con questi spettacoli deprimenti”, scrive qualcuno su Facebook, sulla pagina del Delfinario, “Rimini non ha bisogno del delfinario”, “riaprirlo sarebbe un segno di inciviltà”. Per ora, comunque, gli animali sequestrati rimarranno a Genova, ospiti dell’acquario. “I cetacei si trovano in periodo di quarantena, come da prassi quando ci sono arrivi esterni, ma si stanno ambientando alla nuova realtà e tutto sta procedendo nel migliore dei modi” fanno sapere dalla struttura ligure.