”Il riformista che non c’è” è fatto da persone in carne ed ossa, gente con delle responsabilità, ma che continuano a reiterare un pensiero debole, senza rendersi conto, di mettere in pericolo financo i diritti. E’ un limite culturale prima di tutto della politica che tira avanti con una cassetta di attrezzi spuntati..Oggi “il riformista che non c’è” è convinto che sarà la ragioneria a salvare la sanità e che la ragioneria deve farsi politica. Non si rende conto che la ragioneria sta contro riformando il sistema pubblico mangiandosi ad una ad una le nostre conquiste del passato. Ma non sa cosa fare perché non ha una strategia riformatrice. Le prime vittime del “riformista che non c’è” a parte ovviamente i diritti, i cittadini, gli operatori e i servizi, è lui stesso, in particolare i padroni del vapore, le Regioni, che letteralmente non sanno dove sbattere la testa. Messe alle corde dal ministero dell’economia incassano limitazioni di ogni tipo, prigioniere di politiche che invece di cambiare hanno cercato paradossalmente di ottimizzare in mille modi l’invarianza. E’ grazie a loro che oggi ci troviamo “tra invarianza e cambiamento” con il rischio di tornare indietro. In questo senso vanno interpretati il ritorno sulla scena dei fondi integrativi, delle mutue, della carità e della beneficenza. Ma cosa propone il libro? Di aprire una battaglia culturale e politica non per riformare l’ordinamento della sanità alla vecchia maniera delle altre riforme ma di reinventare il modello di tutela sanitaria. La tutela altro non è se non un certo tipo di consumo e di uso della medicina, quindi è quella che decide l’impiego dei mezzi culturali, scientifici, materiali, professionali, finanziari. Già nel 78 avremmo dovuto riformare il consumo e l’uso mutualistico di medicina ma non l’abbiamo fatto per tante ragioni che il libro analizza.. Il “riformista che non c’è” del tempo eppoi successivamente, pensò giusto prendere un’altra strada quella amministrativa e, gestionale, eppoi quella compatibilista, e ancora quella razionalizzatrice nel tentativo oggi chiaramente fallito, di limitare i costi del consumo e dell’uso di medicina. In questi anni i modelli fondamentali della tutela cioè le prassi del sistema, nonostante le tante cose fatte soprattutto in alcune Regioni, sono rimaste culturalmente ferme al mutualismo. Per rendersene conto è sufficiente analizzare le pratiche delle quattro funzioni fondamentali del nostro sistema sanitario attuale: assistenza di base, specialistica, farmaceutica, ospedaliera.
Quando “il riformista che non c’è” con le aziende decise di percorrere la via amministrativa gli operatori dei servizi, io tra questi, e tutti i soggetti sociali coinvolti nelle battaglie per la salute (donne, operai, malati, anziani, cittadini ecc) già praticavano, forme nuove di tutela. In tutti gli anni 80 i servizi erano davvero aperti al cambiamento. “Il riformista che non c’è” per loro fu mortificante e nel tempo i loro cassetti pieni di progetti piano piano si svuotarono.
Tutti sanno che la spesa sanitaria è una manifestazione del tipo di tutela che si ha eppure ancora oggi si insiste con politiche che la contengono ma senza cambiarla. Oggi ci ritroviamo un servizio sanitario pubblico come se fosse una “supermutua” che anche se tagliuzzato in tutti i modi, sia socialmente che economicamente, non regge più.
Per me dobbiamo pagare il vecchio debito culturale con il cambiamento che abbiamo accumulato. Altrimenti addio sanità pubblica. Per pagare questo debito quattro sono i grandi nuclei riformatori:
Che dire…se ne avete voglia leggetevelo… io ce lo messa tutta.