A proposito dell’Ilva di Taranto, Renato Brunetta dixit: Io sono garantista e qui non c’è ancora neanche un processo di primo grado. Ma come si fa a chiudere una fabbrica senza neanche una sentenza di primo grado?.
Brunetta scuserà se le parole (stamani a Radio Anch’io, Rai) non sono citate esattamente alla lettera, ma le ho sentite in fila nel traffico romano e non ho potuto trascriverle. Ma sono quelle e sono inequivocabilmente “inquinanti“, sono vecchie. Sono smog culturale.
Bene, anzi male. Sul garantismo concordo e anche sulla preoccupazione per lo spettro di fabbriche chiuse con migliaia di operai per strada e senza lavoro.
La domanda è: un’industria vecchia, mai riconvertita, inquinante fino alla morte di centinaia e forse migliaia di cittadini di Taranto da 40 anni in qua, deve continuare a inquinare e a uccidere fino a sentenza passata in giudicato?
Se la risposata è sì, è come dire che Fukushima, per evitare la disoccupazione in quell’area del mar del Giappone, deve continuare a produrre e irradiare tutto perché non si può processare lo tsunami.
È come dire che l’inquinamento di Porto Marghera non è mai esistito perché i familiari dei morti di tumori hanno accettato il risarcimento dei danni offerto dall’azienda e sono usciti dal processo. È come dire che “la mafia non esiste” perché Matteo Messina Denaro è latitante e dunque non si è potuto difendere (cosa che – sia bene inteso – ha il sacrosanto diritto di fare anche lui, quando si costituisce o viene catturato).
È come dire che dei bambini con malformazioni genetiche che continuano a nascere ad Augusta o Priolo (provincia di Siracusa) sono colpevoli geneticamente i genitori e non le effusioni del polo petrolchimico che ammorbano la rada dagli anni Sessanta.
Negare l’evidenza che, al di là del processo e del suo corso, l’Ilva inquina per dire che la produzione deve andare avanti, significa dribblare le responsabilità politiche di chi – un’intera classe dirigente – non ha mai preteso (a destra e a sinistra) che quella fabbrica rispettasse le norme (non solo penali ma civili e amministrative) in materia di rispetto del bene comune. Che non è solo quello delle imprese o degli operai, ma prima ancora dei cittadini che vivono intorno a quella fabbrica.
Insomma: attaccare – usando il garantismo peloso di moda da anni e in queste ore impetuoso e ammorbante sulla scia dell’eterno “caso Berlusconi” – i giudici che fanno chiudere le fabbriche inquinanti, significa spostare il tiro e tacere sul vero problema: perché Taranto è stata lasciata morire all’ombra dell’Ilva? Perché chi ha governato – centrosinistra e centrodestra, Brunetta compreso – non hanno impedito che l’Ilva inquinasse e uccidesse cittadini pensando (come hanno fatto altrove, nel mondo, e per tempo) a riconvertire le produzioni e a renderle pulite, secondo le leggi civili? Perché?
In assenza di una risposta concreta e non ideologica, al di là dei giudici e delle loro inchieste, dunque, sarebbe bene che Brunetta (che almeno ha il coraggio e lo stomaco di dirlo) facendo questi discorsi per coerenza di ragionamento aggiungesse: “Fino a sentenza definitiva, l’inquinamento a Taranto non esiste!”.