Se il sistema politico italiano non fosse così dannatamente inquinato, intriso di corruzione, malsano nei costumi, lontano anni luce dalla società civile che vorrebbe rappresentare, si inchinerebbe davanti all’opera di rinnovamento che sta mettendo in atto Papa Francesco in Vaticano e nella Chiesa tutta. O quantomeno tenterebbe di imitarlo, di riflettere sullo stato di salute della politica. Insomma, di non essere da meno.

E invece non è così. Cattolici e laici assistono attoniti, quasi infastiditi, alla svolta del francescano gesuita ma capiscono che per loro è troppo, una svolta così radicale è impensabile nella cultura politica italiana. Tutti gli schieramenti ripetono come un mantra da anni che si devono fare le riforme ma a partire dal Cavaliere di Arcore, le uniche riforme che è riuscito a fare in vent’anni sono quelle per tutelarsi dai suoi guai giudiziari. Nessuno, né a destra né a sinistra, osa neppure pensare che il nostro sistema politico avrebbe la necessità di un mutamento almeno pari a quello che sta mettendo in atto il nuovo pontefice.

Da quando si è insediato in Vaticano Papa Francesco qualche sfida sui grandi temi della nostra epoca l’ha lanciata al mondo laico e al nostro sistema politico. Il tema della coscienza, come ancoraggio dei laici, come discernimento tra il bene e il male, come crinale tra ciò che è giusto e ingiusto. Il tema della corruzione, con l’avvio della riforma dello Ior e con la liquidazione di quegli uomini che avevano collusioni con il sistema di potere economico e finanziario in Vaticano. Il tema della povertà crescente come fenomeno che vede contrapposti il nord e il sud del mondo. Il tema della convivenza civile con la felicissima battuta: “Chi sono io per giudicare un gay”. Il tema della pace e della guerra.

Sono temi che non riguardano soltanto il Vaticano e il potere della Chiesa ma che dovrebbero costituire gli assi portanti di una riforma generale della politica e della società civile. Ma niente di tutto ciò si intravvede nella pochezza dei programmi politici o tanto meno nei mezzucci del governo di larghe intese.

Mentre Papa Francesco, con una lungimiranza politica inequivocabile, pone questioni vitali per il futuro delle nostre società, il nostro sistema politico, affetto da una miopia impressionante, mista a una malafede conservativa, è sostanzialmente paralizzato da due mesi sul tema della decadenza di Silvio Berlusconi, condannato in via definitiva per frode fiscale, complice di corruzione nel processo sul Lodo Mondadori e secondo i magistrati di Palermo che hanno condannato Marcello Dell’Utri, colluso con famiglie mafiose a partire dagli anni ’70.

Mentre la crisi corrode le fondamenta produttive della nostra società con livelli occupazionali da brivido, il sistema politico italiano, a differenza di Papa Francesco, non pensa in grande ma al contrario è invischiato in miserabili ricatti politici e tristi tatticismi al solo scopo di mantenere in equilibrio un modesto governo che arranca anche sui provvedimenti di carattere congiunturale.

Diciamolo ad alta voce: non se ne può più. A questo punto sarebbe davvero più sano rompere questa palude, tentare almeno di fare una legge elettorale meno porcellosa di quella attuale e andare al voto. E magari, da parte della sinistra, tentare di aprire una fase di cambiamento simile per dimensioni e profondità a quella che Papa Francesco sta mettendo in atto nella Chiesa.

 

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