L'attuale presidente del Senato, ai tempi capo della Direzione nazionale antimafia, nel 2012 inviò una "relazione sull'onorevole Mancino" al procuratore generale della Corte. Il documento gli era stato chiesto in una riunione convocata dopo le pressioni di Donato Marra, segretario generale del Quirinale
La risposta del procuratore nazionale Pietro Grasso al Pg della Cassazione Gianfranco Ciani è datata 22 maggio 2012 e l’oggetto, scritto su carta intestata, è inequivocabile: “Relazione su on. Mancino”. È quello, infatti, messo nero su bianco da Grasso con cruda sincerità e al di là di tutte le giustificazioni formali, il motivo della riunione del 19 aprile 2012, convocata da Ciani su input del Quirinale. Un input, anch’esso certificato oggi dalla carta intestata del Pg della Cassazione: “…poiché devo dare un seguito alla nota 4/4/2012 del segretario generale della Presidenza della Repubblica – scrive Ciani a Grasso – ti sarei grato se mi farai pervenire con sollecitudine la relazione che ti chiesi nel corso del nostro incontro del 19 aprile”.
Il fitto carteggio tra Ciani e l’attuale presidente del Senato Grasso che, tra aprile e maggio del 2012, ha l’obiettivo di definire il destino dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia, è stato depositato ieri agli atti del processo che si riapre a Palermo tra una settimana. Dalle carte, trasmesse in procura nel luglio scorso dal reggente della Dna Giusto Sciacchitano, arriva un’ulteriore conferma dell’interessamento diretto del Quirinale alla vicenda processuale di Mancino, tra gli imputati eccellenti del processo, in quei mesi ancora convinto di potersi “sfilare” dalla lista degli indagati.
Protagonista di un frenetico pressing telefonico su Loris D’Ambrosio (consigliere giuridico di Napolitano) per salvarsi dall’inchiesta di Palermo, Mancino viene alla fine accontentato con la nota del 4 aprile 2012, firmata dal segretario generale della Presidenza della Repubblica Donato Marra, con la quale il Quirinale segnala al Pg della Cassazione Vitaliano Esposito (il predecessore di Ciani) l’opportunità di raggiungere una visione giuridicamente univoca tra le procure di Palermo, Firenze e Caltanissetta che indagano a diverso titolo sulla trattativa. Una lettera quantomeno “irrituale”, dal momento che tra i poteri del capo dello Stato non vi sono quelli di coordinamento delle indagini antimafia, che spettano solo al procuratore nazionale di via Giulia.
Grasso viene pertanto convocato “oralmente’’ da Ciani (che nel frattempo, l’11 aprile 2012, si è insediato al posto di Esposito), ma nella riunione del 19 aprile rifiuta di intervenire sulle procure e fa mettere a verbale che “non ci sono violazioni tali da poter fondare un intervento di avocazione”.
Nessuno oggi è disposto ad ammetterlo, né Esposito né Ciani, ma evidentemente in quella fase si è ipotizzata anche l’avocazione, ovvero lo “scippo” dell’indagine sulla trattativa ai pm di Palermo. Grasso si impegna a “trasmettere al Pg un’informativa scritta”, ma nei giorni seguenti Ciani avverte la pressione del Quirinale al punto da sollecitare il capo della Dna a inviargli la relazione promessa, che gli è indispensabile per rispondere alla nota di Marra. Ecco perché su carta intestata della Procura generale della Cassazione, giunta in via Giulia il 30 maggio 2012, il Pg incalza: “Caro procuratore, poiché devo dare un seguito alla nota 4/4/2012 del segretario generale della Presidenza della Repubblica, ti sarei grato se mi farai pervenire con sollecitudine la relazione che ti chiesi nel corso del nostro incontro del 19 aprile ultimo scorso. Cordiali saluti”. La risposta di Grasso, è una lunga relazione di dieci pagine che reca, scritta a mano, la data del 22 maggio 2012 (una data, in realtà, antecedente alla sollecitazione di Ciani) e che ha per oggetto la dicitura: “Relazione su on. Mancino”.
È Mancino, insomma, il vero e unico protagonista del “Romanzo Quirinale”: quel Mancino che al telefono con D’Ambrosio lamentava di essere “emarginato” e pretendeva la più alta copertura.
Grasso si tira fuori con eleganza: “Non ci sono i presupposti per avocare”, scrive nella relazione, “tali poteri così limitati (della Dna, ndr) giustificano il fatto che nessun procuratore nazionale antimafia si sia mai avvalso di tale prerogativa”.
E insiste ripetutamente sull’impossibilità dell’avocazione: “Ciò che è sicuramente fallita nello schema dell’articolo 371 bis è la previsione, in effetti inefficace, così come concepita, dell’avocazione… Piuttosto che avocare, occorre incidere sui temi delle investigazioni e sulla loro ragionevole durata”. A conclusione delle dieci pagine, infine, Grasso trasmette a Ciani, in allegato, un progetto di riforma della Dna che prevede una forte centralizzazione delle investigazioni e un sensibile rafforzamento dei poteri di coordinamento delle indagini: “Con preghiera di palesare le prospettate esigenze a livello istituzionale”. Un progetto del quale nulla si è mai saputo.
da Il Fatto Quotidiano del 20 settembre 2013