Hong Kong, sette e mezza di sabato mattina. Il sole scalda già a 30 gradi e una leggera brezza asciuga le auto in cortile, dove decine di collaboratrici domestiche lavano vetri e carrozzerie come ogni fine settimana (alcune, addirittura, come ogni mattina). Pochi metri più in là, lo staff del condominio allinea con precisione maniacale le lanterne rosse di carta per il Mid Autumn Festival, la festa della luna. Entrambe le operazioni di routine, oggi, non hanno molto senso: tra poche ore saremo colpiti da Usagi, il super tifone, la tempesta più potente del mondo dal 1984. O, almeno, così dicono i meteorologi.

Il primo segnale arriva verso le 9 sul telefonino, grazie a una app dell’Hong Kong Observatory, che ci avvisa: il segnale T1 di allarme è stato ufficialmente proclamato. Siamo a spasso sulla spiaggia, dove una brezza anomala e una marea talmente alta da mangiare tre quarti di bagnasciuga sono gli unici segnali di qualcosa di diverso all’orizzonte. Chiediamo al manager della spiaggia (che ci volete fare, qui pure le spiagge hanno un manager) se questa marea eccezionale è dovuta alla luna piena. La risposta è no, o almeno non in questo caso, è colpa del tifone in arrivo: ha già cominciato a spingere le onde da oltre 800 chilometri di distanza. Guardo con apprensione la nostra casetta, 180 gradini più su, a picco sul Mar Cinese Meridionale in questa baia a est dell’isola di Hong Kong. Penso che avrei potuto evitare di vedere certi film apocalittici durante la mia giovinezza.

Ma il sabato è appena cominciato: programmi sociali incombono e bisogna ingoiare i timori. Tutti al grocery shop, il piccolo supermercato vicino casa, a comprare gli ingredienti per una cena a base di tagliolini fatti in casa. All’ingresso del negozio, un cartellone in cui una melanzana e una carota spettinate dal vento istigano al saccheggio preventivo: “Il segnale T1 è già stato proclamato: fate scorta!”. Mio marito ne approfitta per fare acquisti essenziali alla sopravvivenza e si compra due casse da sei bottiglie di vino italiano in offerta e tre pacchi di patatine formato gigante.

Pranziamo a Sai Kung, il villaggio dei pescatori, a pochi metri da un’altra spiaggia che settimana scorsa pareva molto più larga e oggi sembra un sentiero sabbioso tra i tavoli del ristorante e l’acqua che continua a salire. Il dim sum, ovvero le varianti infinite del classico raviolo al vapore, è ottimo. Il sole splende e rende il paesaggio di fronte a noi, tra isole verdi e oceano blu, quasi glorioso. A tavola, amici che abitano qui da oltre 10 anni ci rassicurano su come i protocolli di sicurezza locali abbiano ormai ridotto a zero le vittime di certi eventi, in altri luoghi del mondo purtroppo ancora catastrofici. Potrebbe quasi essere un’esperienza interessante. Poi qualcuno si raccomanda di non dormire vicino alle finestre, che comunque è meglio, e mi passa subito la poesia.

Ora sono le dieci di sera. Il tifone, da 850 chilometri di distanza da Hong Kong dove si trovava stamattina, e’ gia’ arrivato a 560. Su Facebook i gruppi locali cominciano a enumerare consigli ai nuovi arrivati, come noi. I thread sull’argomento si moltiplicano di minuto in minuto. Qualcuno suggerisce di passare lo scotch sui bordi delle finestre, caricare cellulari e computer, munirsi di torce elettriche e di scorte di acqua potabile. Qualcuno sponsorizza crackers e burro di noccioline come pasto salvavita. Io mi rendo conto di non aver fatto nulla di tutto questo, per cui confido nel fatto che siano loro ad aver visto troppi film apocalittici.

Il mare in questo momento è piatto. Solo, deserto. Sono spariti anche i falchi che di solito planano sull’acqua proprio sotto le nostre finestre. Finestre senza scotch su cui ripongo la massima fiducia. Ora metto il computer in carica, che non si sa mai. E vado a comprare una tanica di burro di noccioline. A domani.

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