La Camera dei deputati ha licenziato il primo testo di legge della nostra storia repubblicana contro l’omotransfobia. Un risultato che qualcuno – e sono davvero pochi, in realtà – saluta con soddisfazione, mentre tutto l’associazionismo Lgbt (ma non solo) grida allo scandalo. Perché?
Senza arrogarmi competenze che non ho, con in mano solo un vocabolario, google e il buonsenso, provo a descrivere l’idea che mi sono fatto.
Il testo votato da un ramo del Parlamento, in realtà, fa due cose: da un lato iscrive omofobia e transfobia tra i reati contemplati da quella legge, attribuendogli le aggravanti riferite alle altre fattispecie. Dall’altro lato, attraverso lo sciagurato subemendamento Gitti, definisce luoghi e condotte immuni rispetto a quella norma, violando il più semplice (ma anche ormai il più bistrattato) dei principi costituzionali, quello che dice che la legge è uguale per tutti.
Secondo quel “cavillo”, in concreto, la Reale Mancino risulterebbe sospesa per le condotte “assunte all’interno di organizzazioni che svolgono attività di natura politica, sindacale, culturale, sanitaria, di istruzione ovvero di religione o di culto, relative all’attuazione dei princìpi e dei valori di rilevanza costituzionale che connotano tali organizzazioni”. La formula conclusiva, che prende in causa la rilevanza costituzionale e sulla quale si concentra il messaggio rassicurante di chi sostiene questo testo, mi pare intuitivamente assolta da una constatazione: ci sono sciagurate associazioni, espressamente filofasciste, che vediamo impresse nelle schede elettorali, perciò rientrano evidentemente in questa stiracchiata costituzionalità, talmente maltrattata e ormai blanda dal tenere dentro tutto.
Ma senza voler troppo forzare il limite della definizione, in quella cerchia rientrano sicuramente le scuole private, le associazioni per donatori del sangue o degli organi, i presidi sanitari, i partiti. Stando al testo, in una scuola cattolica ad esempio può essere respinto il curriculum di un insegnante solo per il fatto di essere omosessuale. Oppure un’organizzazione per donatori di sangue – se ispirata a chissà quale credo – può tranquillamente rifiutare il sangue degli ebrei, in quanto ebrei. Attenzione: la Reale Mancino è una delle leggi meno utilizzate (ed evidentemente meno efficaci) della storia repubblicana. Io credo che difficilmente queste condotte sarebbero mai state sanzionate, sarebbe rimasto tutto – come è sempre stato – impunito. Da oggi, invece, è espressamente legittimo. E la gradualità di questa legittimità, nonché il confine tra queste condotte e l’istigazione all’odio o la violenza, andranno tutti discussi e argomentati in sede di processo, avendo in mano uno strumento pieno di “ovvero” e di trappole pleonastiche.
Ma c’è di più: quel salvacondotto, per quanto piccolo e limitato lo si possa immaginare negli effetti reali, crea una falla enorme nel ragionamento contro le discriminazioni, definisce e legittima la riserva indiana in cui coltivare la cultura dell’avversione all’altro e fa coincidere questo presidio con i luoghi della formazione, della solidarietà, della salute, dello stare insieme. Insomma, di fronte alla presunzione di risolvere problemi di natura profondamente culturale (come l’omotransfobia, il razzismo o la violenza di genere) con leggi penali e perciò incapaci di aggredire la radice del problema, questo testo di legge peggiora inesorabilmente l’orizzonte. Perché la scuola e i luoghi di formazione, dove il pregiudizio può essere instillato e perciò forgiare le coscienza, anziché essere sorvegliati speciali di una legge contro le discriminazioni, diventano PER LEGGE luoghi franchi, una vera e propria giungla dell’indottrinamento, di qualsiasi indottrinamento. Siamo di fronte quindi non solo a un paradosso, ma addirittura a un ostacolo che dovremo preoccuparci di rimuovere.
C’è poi una domanda che aleggia su tutto questo: perché ne stiamo parlando oggi, a posteriori? Perché dopo mesi che il dibattito sulla legge contro l’omotransfobia si è aperto e dopo un’assurda rassegna di rinvii incomprensibili ai più, ci siamo visti in poche ore snaturare una legge per poi correre a votarla?
E ancora mi chiedo: quali sono i connotati e la comunione di scopi che si celano dietro quella cordata di 250 deputati (18 della Lega Nord più Scelta Civica e un pezzo del Pd) che ha promosso quel subemendamento portandolo a meta per una manciata di voti? Perché si è scelto di fare questo slalom di numeri quando il Pd da solo può contare su 290 deputati, il M5S su 106 e Sel su 37? Quello che mi sembra evidente è che il Pd non ha scelto la soluzione col consenso più ampio, ha scelto quella col consenso di Scelta Civica. Che è tatticamente plausibile ma politicamente sgrammaticato, al limite dell’impresentabile. Se poi entriamo nel merito dell’accordo con Scelta Civica allora è quasi immorale.
Ora tocca al Senato, l’aula dove i numeri mancano per definizione in Italia, da un po’ di tempo a questa parte. Non so quale disperato ottimismo, a un passo dall’allucinazione, possa affidare a quell’aula il compito di migliorare la legge. Più verosimilmente sappiamo, al contrario, che in Senato quella legge potrà ancora peggiorare. E ancora più verosimilmente teniamo in conto il fatto che questa corsa si gioca contro il countdown della chiamata alle urne, che sentiamo reclamata a giorni alterni. Il rischio, insomma, è che tutto vada in fumo: ragione in più per rimpiangere la grande occasione perduta per indicare la giusta rotta.