Politica

Pd, fallisce il voto sulle regole. Renzi: “Deficit, Letta non cerchi scuse”

Manca il quorum in assemblea nazionale, salta la modifica dello Statuto che avrebbe "separato" la figura del segretario da qualla del candidato premier. Epifani rinvia tutto alla direzione del 27 settembre. Determinante l'opposizione di Bindi, veltroniani e Civati, ma i bersaniani accusano anche i renziani. Il sindaco di Firenze al capo del governo: "Se abbiamo sforato abbia il coraggio di rivedere i patti con l'Ue o riveda l'abolizione dell'Imu"

Salta a sorpresa l’approvazione delle modifiche statutarie all’Assemblea nazionale del Pd in corso a Roma. Il nodo principale resta quallo dell‘articolo 3 dello Statuto, che prevede che il segretario del partito sia anche il candidato presidente del consiglio alle elezioni politiche. Una norma già aggirata per consentire le primarie per le elezioni politiche del febbraio scorso – caratterizzate dalla sfida tra Bersani e Renzi e vinta dal primo – che ora sarebbe dovuta sparire.

A mettersi per traverso sono stati soprattutto Rosy Bindi, i veltroniani e Pippo Civati, che hanno sollevato soprattutto la questione del metodo, ma il problema sta anche nella sostanza. Ma l’ala bersaniana accusa anche i renziani. Dato che il congresso è fissato ormai l’8 dicembre, insieme alle primarie (decisione che dovrà essere ratificata dall’assemblea e poi dalla direzione nazionale prevista il 27 settembre), sarebbe inopportuno cambiare le regole nel pieno della corsa, hanno argomentato. “Che il segretario del partito sia il candidato naturale alla presidenza del Consiglio non è un dettaglio”, ha spiegato Bindi. “Perché cambiare l’articolo che è il manifesto del nostro partito?”, si domanda. “Non ho un candidato, mi interessa il cosa non il chi. Questo richiede che le regole non si cambino a gioco iniziato”. 

La loro opposizione ha fatto mancare i voti necessari alla modifica statutaria. L’assemblea, infatti, ha approvato le nuove regole proposte dalla commissione per il congresso e contenute in un documento in forma di raccomandazioni. Il documento è stato approvato con 378 sì, 74 no e 24 astenuti. Ma al momento del voto ci si è accorti che mancava il quorum necessario, pari a 471 voti. I lavori dell’assemblea sono dunque stati sospesi e il segretario Epifani è stato costretto a ufficializzare che il percorso per la modifica dello statuto sarà decisa in direzione il prossimo 27 settembre. “La novità è che essendo saltate le modifiche statutarie, andiamo a eleggere non solo un segretario, ma anche il candidato premier”, sintetizza il deputato bersaniano Alfredo D’Attorre

Nel suo intervento in assemblea, Matteo Renzi non è apparso particolarmente interessato alla diatriba sulle regole, preferendo dedicarsi ai temi politici. Ma i bersaniani vedono anche la sua mano dietro il flop. “Chi ha fatto saltare l’accordo è davanti agli occhi di tutti”, si sottolinea negli ambienti vicini all’ex segretario. “Quelli intervenuti in assemblea per stoppare gli accordi sono stati Morando (che vota Renzi), Mariucci (vicino alla Bindi) e Civati. A questo punto si assumano la responsabilità di quello che è successo e non alludano a responsabilità di altri che non esistono”.

Bindiani e veltroniani contro separazione segretario-candidato premier
Nel corso della discussione una parte dei delegati (in particolare bindiani e veltroniani) ha chiesto di votare per parti separate le modifiche dello statuto, esprimendo, in pratica, un voto solo sulla parte che cancella l’automatismo segretario-candidato premier (al quale sono contrari) e uno su tutto il resto dei ritocchi allo statuto. Mentre era in corso lo scrutinio per decidere se votare per parti separate, però, il responsabile organizzazione Davide Zoggia ha chiesto di intervenire e ha proposto di sospendere il voto per consentire alla commissione congresso di riunirsi. “Con Rosy Bindi e altri pensiamo non sia il caso di cambiare l’articolo 3 – dice Pippo Civati – , con “separazioni che non stanno nelle cose. E’ la politica che deve decidere, sono gli elettori che preferiranno uno più premier o uno più segretario in una situazione particolare in cui abbiamo un premier ma non è stato eletto né dalle primarie né dagli elettori. Si arriva sempre al buio, hanno finito questa mattina, i rinvii non fanno mai bene”.

A rischio le modifiche dello statuto: i voti non bastano
Matteo Renzi se n’è andato in tarda mattinata e non è parso di ottimo umore. Il sindaco ha lasciato i suoi a dirimere l’ultima grana che si è abbattuta sull’avvio, già così tormentato, del congresso del Pd. Lasciano trapelare del malumore gli esponenti renziani. Paolo Gentiloni commenta: “E’ un grande pasticcio: a furia di cercare cavilli per frenare qualcuno e per la paura che qualcuno diventi segretario, hanno reso la situazione ingovernabile”. La verità vera, è il retropensiero dei renziani, è che c’è chi, ancora e nonostante tutto, “sta provando a far saltare l’intesa e fare il congresso con le vecchie regole”. E con le vecchie regole il congresso non si celebrerebbe l’8 dicembre, ma non prima della primavera 2014. Tra le altre cose, peraltro, la commissione per le regole ha proposto di prevedere la possibilità di iscrizione all’albo degli elettori anche al momento del voto. La quota di partecipazione suggerita è di due euro. Il termine per presentare le candidature alla segreteria è stato fissato all’11 ottobre.

 “E’ un problema di numeri, non politico” si affretta ad assicurare Guglielmo Epifani. Ma il problema resta e si registra il fatto che questa volta non è stato Matteo Renzi a alzare il polverone sulle regole. Anzi, il sindaco di Firenze ha dedicato solo un passaggio di volo durante il suo intervento in assemblea, derubricando quasi la questione: “Fino ad oggi c’è stata un’attenzione spasmodica su regole, procedure” per il congresso del Pd, “che sottintende una visione tutta basata su quanto dura il governo, chi fa questo o quello, e anche su legittime aspirazioni personali non inserite però in una scelta strategica”. 

Secondo Roberto Morassut, componente della commissione vicino a Walter Veltroni “la commissione ha lavorato in un clima estremamente collaborativo” ma si dice contrario “alla più rilevante delle modifiche statutarie proposte: quella sul cosiddetto non automatismo della candidatura del segretario nazionale a premier”. Margherita Miotto (bindiana) sottolinea che “il documento non è unitario né consensuale: non eravamo e non siamo d’accordo con la manomissione dell’art. 3 dello Statuto e per questo ieri sera ho abbandonato la riunione”. E rincara la dose: “Ponendo una grande enfasi alla figura del segretario, molti vogliono dissuadere Renzi dal partecipare. Io non sono con Renzi però lo ritengo sbagliato”.

Spaccature anche sulla data. Il renziano: “Vogliono un partito per pochi intimi”
Le prime spaccature – ancora prima che sulle regole – erano emerse sulla data del congresso, fissata nel giorno della festa dell’Immacolata: “I ‘culi di pietra’ voteranno di sicuro – si sfoga su Twitter il deputato renziano Davide Faraone – I cittadini ‘normali’ vediamo. Hanno l’idea di un partito per pochi intimi”. Dal palco dell’assemblea replica indirettamente Stefano Fassina (che come ampia parte della sinistra del Pd sosterrà Gianni Cuperlo):  “La data del congresso è compatibile con festa dell’Immacolata”. Un altro renziano, Matteo Ricci, getta acqua sul fuoco: “Quello su data e regole del congresso del Pd mi sembra un buon accordo. Poteva andare meglio, ma, viste le premesse, poteva andare anche molto molto peggio. Adesso avanti tutta, dobbiamo cambiare il Pd per cambiare l’Italia”.

Cuperlo: “Io il congresso l’avrei fatto prima. Accordo su regole successo di tutti”
La giornata è stata anche la prima vera vetrina in vista del congresso per i principali contendenti per la segreteria: Matteo Renzi, Gianni Cuperlo, Gianni Pittella, Pippo Civati. “Qui dentro non c’è chi vuole vincere e chi vuole perdere: vogliamo vincere tutti” ha detto Cuperlo. Cuperlo ha fatto ricorso a un discorso fortemente identitario: “Non c’è cambiamento vero senza il coraggio e la profezia della sinistra – ha spiegato – E c’è la possibilità di portare il nostro partito al traguardo di un consenso mai raggiunto. In questa sala non c’è chi vuole perdere e chi vuole vincere. Sgombriamo il campo da questa caricatura: qui dentro vogliamo vincere tutti. Ma, per quanto mi riguarda, torneremo a vincere solo se usiamo le nostre parole. Allora nessun traguardo ci è precluso”. Il candidato sostenuto da Massimo D’Alema e Pierluigi Bersani (ma anche da Franco Marini) ha sottolineato come occorra soffermarsi sulla società che è al di fuori delle istituzioni, rappresentata anche da movimenti, associazioni, volontariato. “Il congresso del Pd non dev’essere – conclude – un problema ma un’occasione per ridare entusiasmo, rimettere in cammino la nostra gente, per concepire un nuovo inizio”. E al termine del suo intervento il candidato ha incassato un lungo applauso dall’assemblea. Cuperlo ha poi precisato: “Se vincessi il congresso mi dedicherei totalmente al partito per 4 anni”, escludendo una corsa per palazzo Chigi. 

Renzi: “Voglio un Pd che ambisca a governare da solo”
Dall’altra parte Renzi che raccoglie l’applauso quando dice: “Sogno un partito che ambisca a governare da solo” ha spiegato Renzi più tardi, che dà un’altra scrollata a Enrico Letta: “Dire che lo sforamento del deficit è colpa dell’instabilità è ingiusto: abbia più coraggio e rimoduli i patti con l’Ue o riveda provvedimenti come l’abolizione dell’Imu” è stato il suo ragionamento. Il sindaco di Firenze ha preso la parola senza la giacca e con le maniche della camicia rivoltate. L’accoglienza dell’assemblea è, stata nei suoi confronti, in realtà, più fredda rispetto a quella tributata a Cuperlo che lo ha preceduto ed stato in più passaggi interrotto dagli applausi. Ad ogni modo il favorito alla corsa per la segreteria ha voluto cominciare da un’autocritica, necessaria, secondo lui, per far ripartire il Pd, un partito che sogna – dice – come un partito che “abbia l’ambizione di governare il Paese e, lo dico a Fassina, di governare l’Italia da soli”. “La crisi – spiega però Renzi – non è crisi del modello della destra, cui dobbiamo corrispondere con la nostra proposta. La crisi interpella tutti noi. In questi 20 anni abbiamo governato anche noi, ci siamo stati anche noi. Se non siamo in grado di interpretare il cambiamento è un nostro problema”. Per il sindaco toscano “continuiamo a parlare del nostro piccolo mondo, delle tv. Ma rispetto a 18 anni fa il mondo della comunicazione è cambiato. I nostri talk show pieni di politica arrivano a percentuali da prefisso telefonico, segno evidente che la nausea di chi è dall’altra parte del video sta crescendo”.

Secondo l’ex rottamatore “il Pd sarà in grado di vincere solo se sarà in grado di dire parole nuove e che profumano di speranza e se sarà in grado di collegare le parole che dice ai fatti. In questi venti anni c’è stata totale lontananza tra quello che abbiamo detto alle elezioni e quello che abbiamo fatto. Ci vuole la coerenza e il coraggio della politica”. In definitiva “la linea la dobbiamo dare noi”.

Quindi, spiega Renzi (che inizierà la sua campagna da Bari), con la candidatura alla segreteria inizierà “un percorso di abbattere dei tabù, anche i nostri: se abbiamo il coraggio di fare un dibattito serio, ci sono dei tabù che vanno abbattuti. Continuiamo a definirci partito dei lavoratori, ma i lavoratori non votano più o per noi”. Analizziamo la sconfitta elettorale o “dobbiamo far finta che non ci sia stato niente nel nostro passato?”. 

Il messaggio a Letta: “Deficit colpa dell’instabilità? Ingiusto. Abbia coraggio”
Ma Renzi chiede parole “di verità” anche al presidente del Consiglio Enrico Letta, il sostegno per il quale non è in dubbio. Tuttavia dopo che il capo del governo ha dato la colpa del peggioramento del deficit pubblico “all’instabilità politica”. “Lo dico a Enrico”, replica Renzi: “sostenere” sullo sforamento del deficit-Pil che “compito del governo è farsi carico di un problema che deriva dall’instabilità politica è ingiusto. E’ antipolitica”. Se si è sforato”, ha sottolineato Renzi, anche se di uno 0,1, “o si ha il coraggio di dire che quei parametri vanno rivisti” o “si rientra con l’Imu” o con altre politiche. E in effetti il sindaco di Firenze ne ha da dire anche sull’imposta sugli immobili: “L’Imu è un modello di assoluta miopia. Ma come, hai un sistema fiscale che è il peggiore di Europa e non sei nelle condizioni di fare una riforma ampia. Sono venti anni che consentiamo a loro (il centrodestra, ndr) di dettare l’agenda. L’Imu è l’emblema straordinario di un modello che dice che loro non fanno pagare le tasse e noi sì, ci siamo cascati. Se siamo in grado di dettare l’agenda e spiegare che non siamo solo quelli che tassano, siamo credibili, se stiamo a rincorrere la nostalgia, noi perdiamo l’occasione di cambiare”.