Ieri, 20 settembre 2013, è stata dedicata la fermata, Piscinola-Scampia, della metropolitana di Napoli, all’artista Felice Pignataro. Ci sono volute 800 firme e quasi dieci anni, ma alla fine Scampia c’è riuscita e ora chiunque si troverà nella metro di Scampia potrà ammirare 25 murales dell’artista che ha dato colore e dignità a questo quartiere. A Felice Pignataro abbiamo dedicato il nostro primo Eponimo, ‘A67 (Polosud, 2004), la canzone “Felice” (SUBURB, 2008) e con le sue opere abbiamo realizzato le copertine di diversi progetti.
Un mondo Felice
«Felì’ t’ho dedicato ‘na canzone».
«A chi a me? E perché?».
Eravamo in piazza del Plebiscito durante uno dei tanti cortei per il lavoro. Come sempre Felice era lì a manifestare la sua indignazione con tamburello e fischietto, quando gli confidai che gli avevo dedicato una canzone, allora lui mi sorrise e sorpreso come un bambino mi chiese: perché?
Quel perché lo si trova facilmente in tutti i ricordi di chi ha avuto la fortuna di conoscerlo.
Ero abituato a vedere la sua sagoma spigolosa in giro per il quartiere. Lo avevo visto pitturare i muri grigi del rione e sfrecciare per le strade su di una strana vespa dipinta da lui. Quando domandavo in giro chi fosse, tutti mi rispondevano che era un pazzo e che stava sempre nel Gridas, il centro sociale del quartiere. La pazzia di cui parlava la gente non era altro che la naturale risposta alla loro indifferenza, all’assurdità di un quartiere in cui ogni giorno diventa normale ciò che non lo è mai stato. Quel posto, il Gridas, quasi mi chiamava, ero incuriosito da quel mondo misterioso ed emarginato dal quartiere. Ma la mia timidezza mi impediva di entrare.
Era la metà degli anni novanta e la musica e il vento del tanto decantato rinascimento napoletano arrivava anche alle orecchie distratte dei ragazzini della periferia nord di Napoli. Potevo avere 16 anni e fu allora che nacque in me l’interesse per la musica e la politica. Il coraggio di oltrepassare il cancello del centro sociale mi venne quando ebbi l’idea di occupare una vecchia fabbrica di guanti abbandonata, in via limitone di Arzano. Speravo che quel pazzo, che aveva creato un centro sociale nel buco nero del mondo, fosse disposto ad aiutarmi. Entrai senza far rumore, la sua figura mi affascinava e allo stesso tempo mi intimoriva. Stava lavorando ad una maschera del carnevale di quartiere quando trovai la forza di presentarmi: “Ciao Felice, mi chiamo Daniele, abito qui di fronte e volevo chiederti una mano per creare un centro sociale ad Arzano”. Si voltò e mi fece una risata in faccia. Da quel momento divenne un punto di riferimento costante nella mia vita.
L’arte di Felice si pone inevitabilmente l’obiettivo di cambiare il mondo. L’utopia sui muri è appunto l’utopia di un mondo migliore, il modello al quale ispirarsi per costruire quello reale. E nel mondo reale la periferia si caratterizza non solo per la sua posizione rispetto al centro, ma anche per un inferiore valore delle cose e delle persone rispetto a quest’ultimo. Il suo modo di concepire l’arte al servizio del riscatto sociale è ciò che forse più ha condizionato il mio modo di vedere e fare musica. Felice mi ha insegnato cosa significano le parole coerenza, libertà e lo ha fatto col suo esserci sempre e comunque, con la sua arte, con la spontaneità dei suoi gesti e la grandezza di una vita spesa a dar voce a chi voce non ha, ridando in questo modo nuovo valore a questo quartiere. Proprio come ci ha insegnato l’esperienza del movimento Unidad Popular di Salvador Allende in Cile che usava i murales per far crescere la coscienza sociale dei cittadini analfabeti. Per Felice l’arte appartiene al popolo ed è una forma di conoscenza e di socializzazione, una comunicazione “altra” fatta di immagini e colori che può e deve avere il compito di far riflettere chi l’ammira. Con Felice non è scomparso solo un autentico artista, ma la voce vera e mai rassegnata di Scampia, la voce del riscatto e della dignità di una periferia che è stanca della camorra e delle tante promesse di un governo che la ricorda solo in campagna elettorale. Non mi stancherò mai di ringraziarlo per avermi dimostrato col suo esserci che un altro mondo non solo è possibile, ma che lottare per esso è l’unico modo che abbiamo per continuare a (r)esistere.
Il ricordo è tratto dall’antologia: “Sulle tracce di Felice Pignataro” (Marotta &Cafiero Editori, 2010) di Francesco Di Martino e il Gridas