Da Udine fino a Scafati, passando da Varese, Olbia, Lecce. Sono quasi un centinaio i comuni italiani tra i 50 e 100mila abitanti che, grazie ad una proposta formulata dal ministro per gli Affari Regionali Graziano Delrio, ex sindaco di Reggio Emilia, potrebbero tornare ad avere a bilancio un direttore generale esterno: funzione dirigenziale di coordinamento, individuata senza concorso pubblico, e dallo stipendio annuo che varia tra i 150mila ai 250mila euro.
Alla figura del direttore generale il ministro degli Affari regionali è particolarmente affezionato, d’altronde l’ex dg di Delrio ai tempi in cui guidava la giunta comunale di Reggio Emilia, Mauro Bonaretti, 111mila euro di stipendio l’anno da dg reggiano, era fino a maggio scorso segretario dell’Andigel, l’associazione dei direttori generali di Comuni e Province. E da giugno Bonaretti è capo di gabinetto del dicastero di Delrio.
Rimanendo in Emilia Romagna saranno quattro i Comuni che potranno reintrodurre il dg in organico: Cesena, Faenza, Carpi e Imola. E proprio in quest’ultima città, 68mila abitanti a 30 chilometri da Bologna, che nel maggio del 2012 il direttore generale Michele Bertola, finì protagonista della contestazione dei dipendenti comunali a fronte di un’ “esternalizzazione” di alcuni servizi comunali. Quando per “migliorare i servizi”, spiegò la Cgil di Imola, “era assunto un direttore generale che prende 140 mila euro all’anno per tre giorni di lavoro alla settimana”.
Ma è soprattutto in tempi di tagli all’Imu e di crisi delle casse dei Comuni (delle scorse ore l’appello del presidente Anci Fassino perché il governo dia l’ok ai trasferimenti) il testo per reintrodurre il direttore generale, secondo il quotidiano Italia Oggi, risulta essere all’esame del ministero dell’Interno, per la questione di merito, e a quello del Tesoro, per la verifica più delicata sull’invarianza di spesa.
Nel 2009 era stato l’allora ministro dell’economia Giulio Tremonti ad aver alzato la soglia minima di abitanti a 100mila per avere a libro paga un direttore generale. Ora al Senato potrebbe arrivare sotto forma di emendamento al decreto legge sul pubblico impiego la norma che abbassa a 50mila il numero minimo di abitanti che ne possono usufruire. Secondo il ministero proponente non ci sarebbero oneri aggiuntivi perché le nomine non sono obbligatorie, ma ipoteticamente se tutti le giunte comunali decidessero improvvisamente di voler contare su questa figura di funzionario il loro numero si triplicherebbe rispetto ad oggi.
Il direttore generale è una figura manageriale atipica, legata a doppio filo con il primo cittadino che lo nomina, con la funzione di controllo e coordinamento delle operazioni interne all’amministrazione pubblica: ruolo che nel computo degli stipendi base varrebbe quando 5 o 6 dirigenti eletti con concorso e già presenti in organico.
Il testo del ministero, infine, sembra ricalcare peraltro in pieno uno degli emendamenti proposti l’8 aprile 2013 dall’Anci, di cui Delrio era presidente fino alla nomina a ministro (qualche settimana dopo). In quella stesura veniva chiesto il ripristino della figura del direttore generale nei Comuni sopra i 60mila abitanti. La richiesta al morente governo Monti partiva dalla razionalizzazione di spesa e semplificazione delle cariche interne che quest’ultimo aveva deciso con decreto legge 174 del 10 ottobre 2012: “Il decreto (…) ha caratterizzato alcune figure interne al Comune (…) con una accentuazione della funzione ‘ispettiva permanente’ – si legge nell’emendamento dell’Anci – tale situazione genera una dialettica interna che rischia, in assenza di un adeguato ruolo di sintesi tecnica orientata alla gestione efficiente ed efficace dei servizi, di ingenerare un blocco gestionale soprattutto nei comuni medi (…) Per tale ragione, al fine di dare autonomia organizzativa a questi Comuni occorre che venga ripristinata la facoltà di nominare la figura del direttore generale”.