“Io sono abituato a parlare a braccio, ma oggi preferisco se me lo consentite leggere una relazione”. Dal palco del convegno organizzato a Sorrento con gli studenti per parlare di legalità e lotta alla mafia, Antonio Esposito, giudice di Cassazione e presidente del collegio che ha condannato in via definitiva Silvio Berlusconi per frode fiscale, preferisce intervenire affidandosi ai suoi appunti. Dopo le polemiche seguite all’intervista rilasciata al Mattino, il giudice evita accuratamente anche i contatti con i giornalisti presenti. A differenza di Claudio D’Isa, altro membro del collegio che ha condannato l’ex premier, che risponde a una domanda sugli attacchi di parte della stampa alla magistratura: “In tutti gli ambienti lavorativi – dice – ci sono quelli che fanno il lavoro con coscienza, con professionalità e direi anche con passione e quelli che invece il lavoro lo svolgono soltanto per meri tornaconti personali. E allora si va al di là di quella che può essere la deontologia che va osservata in ogni professione. Il giornalista spesso questa deontologia non la tiene presente: pur di fare lo scoop, pur di fare notizia è capace anche di vendersi la mamma, di passeggiare sul corpo degli altri, così come avviene negli altri ambienti. Ci sono magistrati buoni e cattivi. Però siccome il giornalista più della magistratura ha il compito costituzionale di informare e quindi di mettere a disposizione delle persone le notizie che possono far evolvere la società, dovrebbe avere questo senso deontologico ancora più marcato”. E quelli che hanno contestato duramente la sentenza di condanna a Berlusconi? “Non faccio commenti su questo aspetto. Ognuno ha il diritto di critica: se la critica è andata al di là di quella che è la notizia che è la cronaca, ne risponderanno in sede giudiziaria” di Andrea Postiglione