Aprile 2013: un pastore, mentre porta al pascolo il suo gregge, scopre resti umani nella campagna di Fadret Leguiaa, nei pressi di Amgala, nel Sahara occidentale, la regione annessa dal Marocco nel 1975 e su cui il Fronte Polisario invoca da decenni l’indipendenza.  

Un gruppo di famiglie degli scomparsi sahrawi chiede l’aiuto degli antropologi forensi dell’Università dei Paesi Baschi e della Società delle scienze “Aranzadi”. I resti vengono riesumati.

Il 10 settembre, al termine di sei mesi di ricerche basate su test del Dna, sopralluoghi e interviste, gli esperti rendono pubbliche le loro conclusioni. I resti appartengono a sei adulti (Salma Daf Sidi Salec, Sidahmed Segri Yumani, Salama Mohamed-Ali Sidahmed Elkarcha, Salma Mohamed Sidahmed e Mohamed Mulud Mohamed Lamin) e due bambini (Bachir Salma Daf e Sidi Salec Salma), arrestati da una pattuglia militare marocchina nel febbraio 1976 e scomparsi nel nulla. Ora sappiamo che furono uccisi a bruciapelo e che i loro corpi furono sepolti sotto la sabbia e le rocce. 

E pensare che gli otto sahrawi neanche comparivano nella lista della Commissione per l’equità e la riconciliazione, l’organismo istituito nel 2004 dal governo del Marocco per indagare sulle violazioni dei diritti umani, comprese le sparizioni forzate. Un po’ meglio se l’era cavata l’organismo che ha preso il posto della Commissione, il Consiglio consultivo dei diritti umani, l’istituzione nazionale marocchina per la promozione e la protezione dei diritti umani, sulle cui liste ne figuravano quattro. 

Questa vicenda ci dice diverse cose: che la ricerca della verità e della giustizia, per i familiari degli scomparsi, dura una vita intera e che questa vita è un’agonia; che nelle campagne di Fadret Leguiaa possono esserci i resti di chissà quante altre delle centinaia di persone scomparse nei decenni scorsi, sotto il regno di Hassan II; che gli organismi marocchini per i diritti umani non hanno interesse a fare luce sulle violazioni dei diritti umani o, nella migliore delle ipotesi, lavorano in modo molto approssimativo. Tantissime famiglie sahrawi alla ricerca dei parenti scomparsi non hanno mai sentito parlare né della Commissione né del Consiglio.

La stragrande maggioranza dei funzionari marocchini responsabili delle violazioni dei diritti umani non è mai stata portata di fronte alla giustizia

La Minurso (la Missione delle Nazioni Unite per il referendum nel Sahara occidentale) sta a guardare. I diritti umani non fanno parte dell’operazione di peacekeeping che le è stata affidata, nel lontano 1991, quando entrò in vigore il cessate-il-fuoco tra Marocco e Fronte Polisario. Da allora, l’accordo ha sostanzialmente tenuto ma il referendum continua a slittare. Nel 2010, qui, nel Sahara Occidentale, vi fu un anticipo di quella che un anno dopo sarebbe stata conosciuta come la “primavera araba”.

Per saperne di più, segnalo un documentario che sarà presto in distribuzione in dvd.

 

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