Usi & Consumi

Da Twitter a Instagram: clausole di accettazione da azzeccagarbugli

Cliccare "Ok" senza leggere ci costa 250 miliardi di dollari. Lo racconta un documentario del regista americano Cullen Hoback che sta raccogliendo le firme per abolire il Patriotic Act, provvedimento post-11 settembre che colpisce la privacy

Qualcuno ha mai letto le clausole prima di scaricare un’App per smartphone? O prima di iscriversi a un social media? O di entrare in un sito che chiede la registrazione? Sono una trentina di pagine fitte fitte, i famosi “Termini e condizioni” alle quali noi aderiamo semplicemente cliccando “Accetta”. Cullen Hoback, regista americano li ha letti per noi e ci ha fatto un inquietante documentario. Si chiama “Terms and Conditions May Apply” e rivela cose molto inquietanti. Il quotidiano inglese Guardian, sempre attento a questi temi, ne dà un’anticipazione e un assaggio in video.

Intanto si scopre che è umanamente impossibile leggere i bugiardini, prima di accettare. A un utente medio ci vorrebbero 180 ore, cioè un intero mese di lavoro all’anno per leggere tutto prima di cliccare. E se comunque anche qualche folle volenteroso si fosse messo di buzzo buono per leggerle , non ci avrebbe capito niente, perché scritte nel solito incomprensibile legalese.

Quindi tutti clicchiamo e accettiamo, punto e fine. Accettiamo salvo poi dire: ma non lo sapevo. Linkedin, You tube, Google, Pinterest, Twitter, Instagram: nessuno si salva. Secondo il Wall Street Journal, ai consumatori costa qualcosa come 250 miliardi di dollari ogni anno cliccare senza leggere. Per esempio, chi mette le foto su Pinterest, accetta che la società le possa vendere a terzi per altri usi, tipo pubblicità.

Le grandi aziende possono fare accettare al consumatore praticamente tutto quello che vogliono, tanto nessuno legge. La società inglese Gamestation, che vende videogiochi, ha voluto scherzarci su. Nelle condizioni scrive: “Scaricando questo gioco tu ci concedi una opzione non trasferibile a rivendicare, ora e per sempre, un diritto sulla tua anima immortale”. Il contratto è valido solo per un giorno ed è chiaramente una provocazione, ma fa riflettere sulle conseguenze di quello che accettiamo. E ancora, nel contratto della compagnia telefonica americana AT&T è scritto in caratteri microscopici, che il cliente accetta di mettere a disposizione i suoi dati per indagini, prevenzione e lotta contro qualsiasi comportamento illegale.

Quando nel 2000 la società Toysmart è fallita, hanno avuto la brillante idea di recuperare un po’ di soldi vendendo il database dei propri clienti alla concorrenza: indirizzo, preferenze di consumo, dati bancari, il profilo familiare. Tutto è stato passato a terzi, anche se nei Termini e Condizioni è sempre vietato. Questo è un atto illegale, ma rimane il fatto che il consumatore, cioè voi, non potete fare niente per impedirlo, perché i vostri dati, una volta inseriti, rimangono nei database per sempre.

E questo uno dei punti su cui batte Hoback: “Mi piacerebbe almeno che ogni utente potesse almeno avere la possibilità di sapere quali dati ha una azienda su di lui”. “Il diritto di sapere, il diritto di controllare”, è il suo motto. Nel film c’è la storia di uno studente austriaco che decide di chiedere a Facebook quante informazioni hanno archiviato su di lui. Normalmente è una informazione che non si può avere, ma questo ragazzo ha trovato una scappatoia e la risposta è stata: su di lui, utente saltuario, hanno raccolto 1.200 pagine di pdf in meno di tre anni. Immaginiamoci la mole di dati per chi usa Fb di più, per condividere viaggi, cibi, spostamenti, amicizie, like. “Quando capisci quanto un’azienda ha memorizzato su di te”, spiega Hoback, “capisci che sei una merce in un commercio. Credi di avere un servizio gratis, ma tu sei parte del business“.

 “Il diritto di controllo significa che noi dovremmo possedere i nostri dati personali, non l’azienda. E quando una società tradisce la nostra fiducia, dovremmo essere in grado di prendere i dati con noi e se vogliamo, distruggerli”, conclude Hoback. Ma questo non è possibile, per via del Patriot Act, il provvedimento approvato in America all’indomani dell’11 settembre, con il quale si accettavano restrizioni della privacy in nome nella sicurezza. È in base a quello che le aziende possono conservare (e anzi, collaborano con i governi per questo scopo) i nostri dati personali. Hoback sta raccogliendo firme per abolire il Patriot Act e questo documentario è la sua denuncia pubblica del perverso meccanismo.