“Drinnnn”. E’ suonata anche quest’anno la campanella. Quella della scuola è indimenticabile. Ha un suono che non trovi da nessun altra parte. E’ diversa da quella dell’operaio in fabbrica, differente da quel trillo che segna a teatro l’imminente apertura del sipario. La campanella della scuola è nell’immaginario di ciascuno di noi, resta nei ricordi, segna il valore dell’inizio di una giornata, ha il potere di interrompere una lezione. Accompagna l’inizio e la fine dell’anno scolastico. E’ l’alfa e l’omega del cammino dell’uomo. Ecco anche stavolta è suonata. Tutti a scuola. Ci risiamo, ognuno al suo posto: il preside ad aspettare sulla porta, la maestra, la bidella, mamma e papà ansiosi per il primo giorno. C’è anche il sindaco a portare il saluto: “Sarà un anno meraviglioso”. Chi manca?
Ops, i bambini. Dove sono?
Non ci siamo accorti ma sui banchi ci sono solo gli astucci, i libri ancora una volta nuovi, la risma di carta portata perché la scuola non ha più i soldi per comprarla, il libretto delle assenze, i quaderni a righe, a quadretti, piccoli e grandi, le penne proprio come le vuole la maestra, i vecchi gessetti e la lavagna d’ardesia che non manca mai. Ah, dimenticavo anche la vecchia cattedra di legno c’è, puntuale come sempre! Ma dietro i banchi la sedia è rimasta vuota.
“Impossibile! Guarda bene, forse si saranno tutti nascosti”, afferma sconsolato il mio collega.
No, non ci sono proprio i bambini quest’anno. Forse ci hanno fatto uno scherzo, forse si sono dimenticati di venire proprio oggi. Non credo che si siano stancati della nostra scuola. Abbiamo pensato a tutto per loro: i maestri e i professori abbiamo cercato di trovarli qua e là in Italia; a Cremona abbiamo mandato quelli di Napoli, a Bologna quelli di Reggio Calabria, a Catania quelli che abitano a Palermo. In ogni aula hanno ancora qualche cartina geografica.
Nel laboratorio d’informatica abbiamo cercato di rimettere in sesto i vecchi pc per iniziare al meglio. L’intervallo è preparato. Anche la mensa con la crema di legumi con riso e crostini è pronta a fare la sua parte. E’ tutto come sempre: abbiamo anche i pifferi che aspettano da mesi di essere suonati dai bambini. E il consueto lavoretto per Natale, Pasqua, festa del papà e della mamma aspetta solo il momento di entrare in scena. Ma guarda, è arrivata anche la maestra “nuova”: l’hanno appena assunta, ha 52 anni. Dicono che era precaria ma ora fa parte della squadra di noi giovani docenti italiani. Aspetta, aspetta sono certo che ora i bambini arriveranno. Anzi sento dei rumori, forse sono loro. “Ma che fanno?” chiede il collega.
Stanno protestando. Hanno tutti un cartello: “Vogliamo un’altra scuola”. “Vogliamo i tablet in classe”, “Meno ore più gite”, “Appassionateci alla scuola”. C’è persino uno con in mano un lungo cartello: “Vorrei una scuola dove i maestri mi fanno divertire, dove hanno il tempo di giocare con me e non di compilare registri. Vorrei una scuola con le aule sempre aperte. Vorrei una scuola senza voti, aperta anche il pomeriggio e la sera per vedere un film. Vorrei una scuola di tutti i colori pennellati su pareti e dentro ai cuori. Una scuola come un grande girotondo interamente aperta al mondo. Una scuola con grandi finestre, come occhi dentro il muro per vedere al di là del futuro.
Dove c’è posto per lo studio e per il gioco perché ahimè….lo spazio è sempre poco! E con piante e animali da curare per crescere imparando ad amare. Una scuola per il cervello e per le mani per conoscere e costruire il domani. Sì questa è la scuola che vorrei dove conta ciò che sai ma ancora di più ciò che sei”. Forse ci siamo dimenticati proprio di loro, di chiedere ai bambini come vogliono la scuola.