Il talento ruggisce, nitrisce o grida in tanti altri modi. Ma sicuramente non raglia mai. A ragliare, invece, è il “ciuccio” presuntuoso. In tutti i campi del sapere, l'”asino” si distingue per la stonatura fonica e semantica che caratterizza il suo pensiero espresso con una naturalezza ciuchesca fuori luogo. Sempre restando nella metafora, se l'”asino” esce dalla stalla, non può far finta di essere “un’aquila”.

Il gioco regge per poco perché, poi, un’aquila che fa ‘hi ho’, fa ridere molto e viene subito smascherata. L’intelligenza non è qualcosa che si può inventare. Essa c’è a priori. Piuttosto bisogna orientarla in un certo modo, affinarla e sciogliere con essa i nodi dell’esistenza. Occorre una mente filosofica e pratica in grado di capire e ragionare tenendo conto che la ragione è un sistema psichico parlante che si presta ad essere usato da tutti gli uomini di normale intelletto. Da qui deriva la tradizione della cultura che non muore mai proprio perchè viene tramandata grazie alla ragione.

Poi c’è chi, per una particolare eredità e per una tipica combinazione esperienziale, sviluppa in modo creativo un certo sguardo critico su una o più (poche) tipologie intellettive. Questo è il talento. C’è quello musicale, quello linguistico, logico matematico, spaziale, corporeo-cinestetico, intrapersonale, interpersonale e morale. Ecco quindi il distinguersi tra un uomo dotato che raggiunge un limite buono o ottimo e un talento che si spinge oltre, perché stimolato da una voce interiore innovativa. E’ come se il talentuoso rompesse le regole convenzionali e stravolgesse in modo spettacolare il rigido repertorio schematico, per ottenere un risultato originale inaudito. Può essere tale un musicista, un giornalista, uno scrittore, un ballerino, un giocatore di scacchi, un fisico, un medico, ecc. I talenti non sono frequentissimi non a causa di di una rara elezione divina, ma per una fortuita coincidenza ereditaria-ambientale che costringe i bravi a superare se stessi per una selezione naturale, che altrimenti li spazzerebbe via.

Poi c’è la fortuna ovviamente, e l’amore che è un ingrediente affettivo di notevole efficacia intellettiva. Poi c’è un detto che dice: “Dio non ha ordinato a nessuno di essere stupido”. Ciò vuol dire che l’obiettivo che uno si pone è prodotto dalla sua volontà. Se uno vuole essere un talento, ci prova. Se non ci riuscirà, sarà bravo o molto bravo. Ma se uno sceglie di essere un asino, non può dare la colpa a Dio come se lo avesse tradito. La responsabilità è dell’individuo. Sempre! Quindi basta con l’invidia. Piuttosto trasformiamola in ammirazione quando ci troviamo di fronte ad un vero talento!

di Roberto Calò

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