Due giorni fa ho visto per la prima volta in vita mia la Costituzione italiana. Quella vera. Le porte della Camera dei Deputati sono aperte al pubblico in certe giornate ma da quando ho iniziato ad interessarmi di politica, una quindicina di anni fa, non ho mai trovato il coraggio di andare a visitarla. Sembrerà stupido ma non riuscivo a sopportare l’idea di vedere quel palazzo, con tutta la storia e gli ideali di cui è intriso, “invaso” da certi personaggi che, in un mondo ideale, non si sarebbero potuti nemmeno avvicinare a quelle mura, tanto meno occuparle.
Venerdì scorso la situazione era diversa. Il palazzo era (ed è) ancora occupato da gentaglia e delinquenti ma accanto a me c’era una persona grazie alla quale sentivo di poter “difendere” quel luogo, che ai miei occhi non era più completamente esposto, scoperto, in pericolo. Impotente.
Così Giulia Sarti, deputata del Movimento 5 Stelle (no, non sono una fan di Grillo, tutt’altro…), mi ha accompagnata nella sala dove è custodita la Costituzione. Per lei non era la prima volta, ovviamente, ma sentivo che era ugualmente emozionata. Siamo entrate nella stanza lentamente, senza parlare, anche con le scarpe cercavo di fare meno rumore possibile, come per non disturbare la sacralità di quel momento, come se intorno a me avessi ancora tutti i padri costituenti che nella Camera dei Deputati stavano scrivendo le pagine fondanti del nostro Stato.
La Costituzione era in un angolo di una sala conferenze, come messa da parte, per non dar fastidio. Era protetta da un cubo di plastica trasparente… o forse era vetro, non mi sono nemmeno azzardata a toccarlo. Ed eccola lì. Piccola. Chissà perché me la immaginavo più grossa, rilegata con qualche particolare copertura di pelle, come i libri nel film “Il nome della rosa”; invece era come un quaderno a righe delle scuole medie, senza copertina.
Il primo pensiero che mi è venuto in mente? Dio santo, quanto è fragile. E indifesa.
Mi sono girata verso Giulia e lei mi ha guardata sorridente e orgogliosa. Per lei è un onore essere lì dentro, avere quel ruolo e se ne è assunta tutta la responsabilità che questo comporta, con senso del dovere e con entusiasmo. Queste due parole, in vent’anni, sono diventate quasi incompatibili nella stessa frase, eppure non lo sono. La responsabilità e il dovere, quando questi comportano l’evoluzione della società e il bene della comunità (quali dovrebbero essere gli obiettivi di ogni professione) possono essere vissuti con entusiasmo e con gioia. Giulia ne è una prova.
Guardando la nostra Carta, proprio come nei film, mi sono passate davanti tante immagini di volti, nomi, stanze, testimonianze, di documentari che ho visto negli anni. Qualche viso me lo sarò anche immaginato, chissà.
Mario, l’assistente di Giulia che era con noi, anche lui per la prima volta in quella sala, senza staccare gli occhi da quel quaderno dice: “Quindi sei tu che vogliono cambiare.” A me viene spontaneo rispondere: “No. Saranno loro a cambiare“. Giulia non ha risposto. Ma non ce ne era bisogno.
Ps: Usciti dalla sala siamo andati nell’ufficio di Giulia. Dove abbiamo trovato questo “regalino“.