Nessuna manovra di salvataggio, nessun “colpo di genio” per portare la nave il più possibile vicino alla costa, nessun colpo da maestro in una situazione d’emergenza. Dopo l’ultima “sterzata” a destra dopo l’urto con gli scogli delle Scole – a poche decine di metri dall’isola del Giglio – che ha lacerato la fiancata della Costa Concordia per circa 60 metri il comandante Francesco Schettino non ha potuto fare più niente. Cade, sotto i colpi della perizia dei consulenti del tribunale, l’ennesima linea difensiva dell’ex capitano della nave da crociera naufragata al Giglio. In aula, durante l’udienza del processo che vede imputato l’ex comandante di Meta di Sorrento imputato dell’omicidio colposo di 32 persone, i periti confermano: l’ultima manovra eseguita dalla plancia di comando della Concordia, la sera del 13 gennaio 2012, è stata una virata a destra avvenuta subito dopo lo schianto sugli scogli. Una manovra che fece evitare, certo, un secondo impatto contro il Giglio: poi i timoni rimasero definitivamente a dritta, all’angolazione massima di 35 gradi, dopodiché i “timoni furono fermi” e non più utilizzabili. La nave, poi, è arrivata dov’è ancora adesso solo grazie all’inerzia dei motori – che via via sono andati fuori uso – e a un provvidenziale combinato disposto di correnti e vento che ha permesso le operazioni di soccorso a poche decine di metri dal porto del Giglio, anziché in mare aperto. Una circostanza che la Capitaneria di porto di Livorno poté verificare subito e che finì già nei giorni successivi agli atti dell’inchiesta della Procura di Grosseto.

Il perito Cavo Dragone: “Timoni bloccati a dritta”
L’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, coordinatore dei periti del gip, ha detto che “dopo l’urto effettivamente l’ordine di mettere i timoni a dritta ha avuto l’effetto di allontanare la nave dall’isola”, ma questa manovra fu l’ultima possibile da parte di Schettino e non ce ne furono altre. Successivamente la nave perse la propulsione e gli impianti andarono ko: il generatore di emergenza non funzionò; i timoni e le pompe di sentina, collegati a questo impianto, non erano alimentati e si bloccarono. Ad ogni modo, hanno proseguito i consulenti del tribunale, la superficie del timone in acqua sarebbe stata “totalmente ininfluente” considerato che il vento di maestrale stava causando un potente effetto vela sulla mole della nave. E le pompe di sentina non avrebbero comunque mai potuto buttare fuori acqua in modo sufficiente, rispetto alla massa d’acqua entrata dalla falla di quasi 60 metri. “Un allagamento fuori letteratura”è stato definito dal sostituto procuratore Stefano Pizza che in questa fase sostiene l’accusa nel dibattimento. E appunto, hanno ribadito i periti, fu proprio il vento e lo scarroccio a portare la nave ormai alla deriva nella collocazione attuale, non altre azioni, non possibili per le gravi avarie a bordo. La difesa di Schettino aveva chiesto ai periti vari chiarimenti sul mancato funzionamento del generatore di emergenza e soprattutto se abbia avuto influenza sugli apparati collegati. I periti hanno risposto che funzionarono solo quelli alimentati da batterie di emergenza che, in continuità, poterono rimanere efficienti e durarono fino a esaurimento: tra questi le luci di emergenza di bordo.

Pompe di sentina? “Non potevano svuotare tutta quell’acqua imbarcata”
Non solo. Le pompe di sentina della nave erano in grado di espellere acqua per circa 1.000 metri cubi all’ora. Ma l’acqua entrata nella maxifalla (grande come la larghezza di un campo di calcio) fu pari a 1,2 milioni di metri cubi in un’ora: impossibile liberare i vani motori, e poi sulla nave quasi subito si verificarono le più gravi avarie agli apparati. La proporzione è chiara: più o meno è come svuotare il lago Maggiore con un secchiello. Inoltre, è stato sottolineato che delle quattro pompe di emergenza ne poteva essere funzionante solo una da 240 mc all’ora: ma il mancato funzionamento del generatore di emergenza, che avrebbe dovuta alimentarla di energia, visti i motori andati prestissimo ko, rese inutilizzabile anche questa possibilità. I periti hanno anche stimato che in teoria, se questa unica pompa avesse funzionato, sarebbero servite tra 5.500 e 6.000 ore per evacuare i comparti allagati.

I giudici: “Schettino non può parlare sempre, non è un perito di parte”
Già ieri i periti avevano smentito una delle tesi di Schettino: quella secondo la quale sarebbe stato un ordine non eseguito dal timoniere indonesiano a provocare un naufragio di queste proporzioni. Ma Cavo Dragone ha escluso questa ipotesi: anche virando con 13 secondi di anticipo l’impatto – a quel punto – sarebbe stato inevitabile. 

Peraltro proprio la loquacità di Schettino è stata “ridimensionata” sia ieri sia oggi dal giudice Giovanni Puliatti. L’ex comandante era intervenuto due volte spiegando la fase dell’ordine non eseguito dal timoniere, ma poi al terzo tentativo di dire qualcosa su un’altra questione, il giudice lo ha bloccato, rinviando le dichiarazioni spontanee a una fase successiva del processo e impedendo che Schettino lo possa fare punto per punto. Oggi la situazione è tornata al centro della discussione. Così il collegio di giudici ha dovuto chiarire di nuovo: Schettino – ha detto il presidente Puliatti – non può interloquire nel processo, “come se fosse un perito mascherato”, nella discussione molto tecnica delle parti con i periti del gip “perché è l’imputato: il suo non è il ruolo di un consulente tecnico” e peraltro non può appropriarsi della possibilità di poter dare dichiarazioni spontanee continue. Era stato infatti l’avvocato dell’ex capitano, Domenico Pepe, a protestare perché a Schettino sarebbe stato “negato” di intervenire. L’ex comandante può solo fare il suggeritore ai suoi difensori, ma non parlare in prima persona.

Mini vittoria della difesa di Schettino: sopralluogo a bordo
La difesa di Schettino ha ottenuto però un punto a suo favore. Nelle udienze precedenti, infatti, aveva chiesto di eseguire un sopralluogo per una perizia supplementare su alcuni apparati a bordo della Costa Concordia. Alla richiesta era stata sostenuta anche il legale del Codacons (parte civile), mentre si era opposto l’avvocato che rappresenta nel processo la Costa Crociere. Il tribunale di Grosseto ha concesso di svolgere la perizia, appena il relitto della nave sarà in condizioni di sicurezza. 

 

Perizia sui video inediti della videosorveglianza
Elementi nuovi, intanto, potrebbero arrivare da alcuni video inediti: immagini registrate a bordo. Il tribunale ha disposto una perizia sui nastri Vhs. Si tratta di filmati inediti registrati dal sistema di videosorveglianza che saranno visionati in aula in serata. Nessuno finora li ha visti, neanche gli investigatori. Nelle immagini si dovrebbero vedere varie fasi, sia la vita di bordo prima dell’urto, sia gli eventi seguenti all’impatto e poi nella gestione dell’emergenza e non è escluso che potrebbe ricavarsi cosa fecero Schettino e gli altri ufficiali nei movimenti di bordo, dove si spostarono e quando, per esempio, si organizzava l’evacuazione dei passeggeri. Anche se mentre ancora a bordo c’era il panico tra i passeggeri e i colleghi del comandante cercavano di gestire l’evacuazione, Schettino decise di andarsene: gli ultimi ad essere recuperati da vigili del fuoco, capitaneria di porto e guardia di finanza furono alcune persone intorno alle 4 del mattino, alle 00.32 (al momento della prima telefonata del capo della sezione operativa della Capitaneria di Livorno, Gregorio De Falco) il comandante si trovava già su una scialuppa di salvataggio. Altrettanto noto è che l’allora capitano disse di esservi caduto per caso.

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