Il Governo lancia il programma “Destinazione Italia”. L’obiettivo è attrarre più capitali esteri nel nostro paese. Ma non conta solo l’ammontare, conta anche il settore nel quale avvengono gli investimenti. E quelli che arrivano in Italia si orientano in genere verso il mercato dei beni finali.
di Luca Marcolin (Fonte: Lavoce.info)
Gli obiettivi del programma
Il Governo ha lanciato il programma “Destinazione Italia”, che ha come obiettivo esplicito l’attrazione di maggiori capitali esteri per investimento di medio-lungo periodo, detti anche investimenti diretti all’estero in entrata (Ide-E). L’obiettivo dell’iniziativa Governo è meritorio. Non tutti gli Ide-E, tuttavia, hanno un impatto positivo sul paese che li riceve, né è auspicabile vendere a soggetti esteri le punte di eccellenza della produzione nazionale, accendendo così la miccia di polemiche ideologiche e demagogiche come già successo con Parmalat o Alitalia in passato.
La scarsa attrattività dell’Italia per gli investimenti stranieri non è una novità. Secondo il rapporto “Global Trade Enabling 2012” del World Economic Forum l’Italia si posiziona sessantaduesima su 132 paesi per quanto riguarda l’apertura alla partecipazione di capitali esteri in imprese nazionali, e centonovesima per impatto negativo della regolamentazione sull’entrata di Ide. Inoltre, secondo i dati Unctad, il valore dello stock di Ide-E ha raggiunto il17,7 per cento del Pil nel 2007, mentre è stato sostanzialmente più alto in altri paesi europei di riferimento (tabella 1). Dopo un’ulteriore caduta nel 2010-2011, l’Italia non ha saputo poi recuperare il valore del 2007, al contrario di altri paesi (eccetto la Francia). Queste differenze sono il frutto di una dinamica ventennale: dall’inizio degli anni Novanta il valore dei flussi Ide-E in Italia è rimasto costantemente inferiore a quello degli altri paesi.
Tabella 1 – Stock e flussi di Ide-E per paese, % Pil
Sembra dunque che l’Italia abbia davvero un distacco da recuperare, ma una buona politica di attrazione degli Ide-E non può basarsi solo sulle cifre. Sia l’investimento che il capitale posseduto da entità estere possono infatti variare in modo rilevante di anno in anno, qualora avvenissero acquisizioni estere di importanti gruppi nazionali. Una politica di attrazione degli Ide-E con un obiettivo meramente quantitativo potrebbe raggiungere così il suo successo (o fallire) senza arrecare all’economia del paese alcuno dei benefici attesi.
In secondo luogo non è chiaro quale sia il livello ottimaledi Ide-E in un paese: si può immaginare che questo non sia il 100 per cento (poiché in questo caso non ci sarebbero più investitori italiani), ma perché il 50 per cento dovrebbe essere meglio del 30 per cento? Un raffronto con paesi simili, come proposto qui sopra, sicuramente aiuta a definire obiettivi raggiungibili, ma non è comunque dato sapere se un certo valore di stock di capitale estero adeguato per un altro paese sia tale anche per l’Italia. Secondo la ricerca economica recente, l’effetto degli Ide-E su occupazione, salari, produttività e capacità di innovare cambia infatti con il settore o il paese in considerazione.
In quali settori investono gli stranieri
Ecco perché un obiettivo quantitativo di Ide-E deve essere associato a un’attenzione alla composizione “qualitativa” degli investimenti esteri che si vogliono attrarre. È necessaria, per esempio, un’analisi più attenta dei settori in cui gli Ide-E sono già presenti: secondo un rapporto Ice del 2010, le imprese estere investono soprattutto nella produzione di derivati del petrolio e di mezzi di trasporto, nella farmaceutica, nell’elettronica ed elettronica di precisione, e nella chimica (tabella 2). Se da un lato questi sono i settori in cui attrarre ulteriori investimenti potrebbe essere più facile, sarebbe importante capire perché negli altri non succede altrettanto (formazione della forza lavoro, composizione dei fornitori, barriere regolatorie, eccetera). Si deve considerare quindi se la politica nazionale abbia capacità di intervento al riguardo.
Tabella 2 – Settori a maggior concentrazione di imprese estere (% degli addetti e del fatturato totali del settore)
Per beneficiare al massimo degli effetti su produttività e crescita degli Ide-E, sarebbero poi preferibili investimenti in settori ad alto contenuto scientifico e tecnologico. In Italia, tuttavia, gli Ide-E in settori science based costituivano nel 2011 solo il 22,2 per cento dell’impiego totale in imprese a partecipazione straniera, una percentuale rimasta pressocché fissa dal 2000, al contrario degli investimenti in settori di beni di consumo di massa (47,5 per cento dell’impiego totale in multinazionali).
Secondo il rapporto Ice “Italia multinazionale 2012”, i dati riflettono sia la struttura produttiva del paese in generale, che è scarsamente orientata all’innovazione, sia gli obiettivi principali dell’investimento estero in Italia, attratto soprattutto dal grosso mercato di beni finali costituito dalla popolazione italiana. Laura Alfaro e Andres Rodriguez-Clare e Beata S. Javorcik hanno provato che i benefici degli Ide-E sono molto maggiori quando le multinazionali collaborano con i fornitori locali e possono trasmettere loro nuove conoscenze e tecnologia, piuttosto che quando entrano in concorrenza con le imprese locali per la vendita di prodotti finali simili. (1) Infine, potrebbe essere preferibile ricevere investimenti greenfield piuttosto che vendere imprese nazionali o loro parti a imprese straniere, poiché in passato i secondi hanno reagito in modo più brusco ai cicli di crescita e recessione economica in Italia.
Un’ultima considerazione riguarda le politiche ausiliarie all’attrazione di capitali esteri. Una politica a favore dell’entrata di Ide, per quanto avanzata in termini di riduzione di imposte o balzelli burocratici, non può esistere senza adeguate politiche di miglioramento infrastrutturale o di produttività d’azienda, riduzione del costo dell’energia e del lavoro, e sostegno alla formazione di giovani e lavoratori. Potrebbe essere dunque utile associare a Destinazione Italia espliciti obiettivi per queste politiche ausiliarie, spostando il centro della discussione dall’obiettivo “quantitativo” di Ide-E agli aspetti “qualitativi” di tali investimenti, quindi al loro potenziale di sviluppo per il paese.
(1) Vedi rispettivamente, Alfaro L., Rodriguez-Clare A., (2003) “Multinationals and linkages: an empirical investigation”, IADB DP 1122, November; Beata S. Javorcik “Does Foreign Direct Investment Increase the Productivity of Domestic Firms? In Search of Spillovers through Backward Linkages“, American Economic Review, 94(3), 2004.
Bio dell’autore – Luca Marcolin
E’ PhD candidate in Economia all’Università Cattolica di Lovanio (Leuven – Belgio), e ricercatore presso un think tank specializzato in studi regionali. Collabora con Aspen Italia, Limes e Lo Spazio della Politica, con focus particolare su economia internazionale ed industriale.