Maurizio Belpietro ha vinto il suo ricorso a Strasburgo contro la condanna per diffamazione inflittagli per la pubblicazione, nel novembre 2004, di un articolo firmato dall’ex senatore Raffaele Iannuzzi, ritenuto diffamatorio nei confronti dei magistrati Giancarlo Caselli e Guido Lo Forte. La Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia per aver violato il diritto alla libertà d’espressione dell’attuale direttore di Libero. Lo Stato deve versare a Belpietro 10 mila euro per danni morali e 5 mila per le spese processuali. Condannare un giornalista alla prigione è una violazione della libertà d’espressione, salvo casi eccezionali come incitamento alla violenza o diffusione di discorsi razzisti: lo ha stabilito la Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza in cui dà ragione a Belpietro, condannato a 4 anni dalla Corte d’Appello di Milano.
La Corte infatti ritiene che, nonostante spetti alla giurisdizione interna fissare le pene, la prigione per un reato commesso a mezzo stampa è quasi sempre incompatibile con la libertà d’espressione dei giornalisti, garantita dall’articolo 10 della convenzione europea dei diritti umani. Secondo i giudici di Strasburgo, nonostante l’articolo di Iannuzzi sia stato giustamente considerato diffamatorio, esso non rientra in quei casi eccezionali per cui può essere prevista la prigione.
L’articolo di Iannuzzi, pubblicato il 7 novembre 2004, si intitolava “Mafia, tredici anni di scontri tra pm e carabinieri. Cosa si nasconde dietro il processo al generale Mori e al colonnello Ultimo per il covo di Riina”. La Cassazione ad aprile 2010 aveva confermato la condanna, sottolineando che a Palermo, negli anni durante i quali la procura fu retta da Giancarlo Caselli non ci fu alcuna guerra dei magistrati contro le indagini condotte sull’allora colonnello del Ros Mario Mori e su Sergio De Caprio, capitano ‘Ultimo’. Indagini, scriveva, che erano frutto del “dovere costituzionale del pubblico ministero di esercitare l’azione penale contro chiunque sia”, senza che ciò “significhi guerra di una istituzione contro un’altra”.
Al contrario, Strasburgo parla di “valutazione arbitraria o manifestamente erronea della Corte d’Appello di Milano”. L’articolo, si legge nella sentenza, “riguardava un tema di interesse generale, quello di conoscere i rapporti tra i pubblici ministeri e i carabinieri di Palermo in un contesto delicato come quello della lotta alla mafia”.