Il testo verrà presentato in Aula mercoledì mattina senza che venga terminata la discussione in Commissione affari costituzionali. Manca il via libera della maggioranza su alcuni punti, tra cui il tetto alle donazioni dei privati di 100mila euro e la depenalizzazione del finanziamento illecito. "I democratici", ha dichiarato Gelmini, "stanno violando l'accordo fatto in Consiglio dei minisitri". Il Movimento 5 Stelle presenta una controproposta
Pd e Pdl non sono riusciti a trovare un accordo e il testo torna al voto in Aula. Quando si tratta di rinunciare alla cassa, le larghe intese sono sempre poco solide. Continua così l’odissea del disegno di legge per l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti: tornato in commissione Affari costituzionali il 12 settembre per poter favorire la discussione degli emendamenti, viene rispedito in Aula senza che si sia trovato un testo che metta d’accordo la maggioranza delle larghe intese. Le ultime riunioni, compresa quella di stamattina, non sono servite a sciogliere i nodi che ancora sono sul tavolo, a partire dal tetto alle donazioni dei privati di 100mila euro presentato dal Partito democratico e su cui il Pdl è contrario. Tra i parlamentari circola lo spettro del voto di fiducia che, in vista di un accordo sempre più improbabile, potrebbe rivelarsi l’unica soluzione. “Assurdo”, ha commentato Andrea Mazziotti, deputato di Scelta civica, ” Non si è trovato un accordo perché il Pdl insiste sul rifiuto di inserire un tetto e chiede di depenalizzare le violazioni delle regole sul finanziamento pubblico. Sono posizioni inaccettabili”. Critica Maria Stella Gelmini (Pdl): “Il pd sta venendo meno ad un accordo preso in Consiglio dei ministri”.
Pochi giorni di discussione in commissione e ora l’ammissione di un fallimento. L’accordo non c’è e lo scontro tra le parti avverrà in Aula. L’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti si riconferma la più controversa delle promesse del governo delle larghe intese: annunciata e più volte ribadita da Enrico Letta, ha subito rallentamenti e disavventure. Il testo è arrivato in aula per la discussione finale il 12 settembre, per poi essere rispedito in prima commissione per “meglio discutere degli emendamenti”. Pochi giorni fa l’ultima disavventura: la scoperta di un errore formale che eliminava i controlli e le sanzioni per il falso in bilancio. “Ce ne siamo accorti e abbiamo già rimediato”, aveva commentato al fattoquotidiano.it Gianclaudio Bressa (Pd).
La decisione di ritornare in Aula senza un testo completo è stata annunciata dal presidente della Commissione Francesco Paolo Sisto: “I relatori hanno spiegato che non sono in grado di fornire i pareri sugli emendamenti ancora da esaminare”, ha commentato, “quindi andiamo in Aula con il testo del governo così come è stato emendato sino ad ora. Ci sono dissensi all’interno della maggioranza ed è impossibile portare avanti in commissione un provvedimento condiviso, c’è una obiettiva impossibilità di discutere fino in fondo”, ha spiegato ancora Sisto. I due relatori, Maria Stella Gelmini (Pdl) e Emanuale Fiano (Pd) avevano chiesto alla commissione un po’ di tempo in più per provare a definire un’intesa, anche in contatto con il governo, alla vigilia dell’approdo del testo in aula fissato per domani. Ma non si è arrivati a nessuna soluzione concreta. “Il Pd sta violando l’accordo fatto in Consiglio dei ministri -ha detto Gelmini a SkyTg24- Noi siamo fermi al testo del governo che vede la nostra totale disponibilità e saremmo pronti a votarlo anche domani, il problema è che sono stati presentati emendamenti che stravolgono il testo del governo”.
Il Movimento 5 Stelle ha deciso di presentare una proposta alternativa a quella del governo per “superare lo stallo imposto dai partiti”. Ad annunciarlo è stato il deputato Danilo Toninelli su Facebook: “Prevediamo solo le donazioni dei privati ai partiti con un massimale annuo di 5.000 euro. Il rischio? – scrive – Che questa maggioranza faccia dei danni immani ed approvi una legge addirittura peggiore di quella attuale!”. La battaglia sugli emendamenti però sarà in aula mercoledì 25 settembre. E se ancora i partiti si ritroveranno a litigare sulla cassa, l’esecutivo di Letta potrebbe chiedere il voto di fiducia.