Non si dimettono, anzi rimarranno saldi sulle loro poltrone nonostante il loro partito gli abbia dato un aut aut: o stanno con il Pd e si dimettono, oppure rimangono con Rosario Crocetta. Tertium non datur. Almeno per il momento, i quattro assessori regionali indicati undici mesi fa proprio dal Pd alla terza opzione non hanno voluto neanche pensare: rimarranno fedeli al governatore, che ieri sera è stato di fatto scaricato dai democratici siciliani. “Le nostre nomine sono state concordate con il Pd e noi siamo quattro dirigenti del Pd: nessuno può giocare ad essere più piddino dell’altro: io non mi dimetto”, ha esordito stizzita la giovane Nelli Scilabra, ex senatrice accademica dell’Università di Palermo, poi elevata al vertice del delicato assessorato alla Formazione su indicazione del senatore Beppe Lumia. “Non ci dimettiamo perché non c’è più tempo per la Sicilia”, ha rincarato la dose l’assessore all’Ambiente Mariella Lo Bello, che fino a ieri sera era completamente all’oscuro del terremoto politico messo in cantiere dal suo partito. “Ho letto ora su livesicilia (quotidiano online palermitano ndr.) quello che stava succedendo e sono arrivata qui” raccontava, intervenendo all’assemblea dei democratici convocata proprio per scaricare il governo di cui fa parte, insieme all’altro assessore Nino Bartolotta, anche lui rimasto fedele a Crocetta.
Rimane in sella, almeno per ora, anche l’assessore al Bilancio Luca Bianchi che ha dalla sua i gradi di tecnico in prestito da Roma, da dove è stato inviato in Sicilia dopo essere stato vice presidente dello Svimez. “Io vengo da un’esperienza esterna, ho studiato il Mezzogiorno per anni: ho fatto molta teoria e zero pratica. Per questo ho accettato la proposta di venire in Sicilia, e credo che l’esperienza sul campo sia stata molto positiva. Non mi dimetterò, non prima di capire se è possibile che si ricostruisca il rapporto tra governo e partito. Certo, non parteciperò a nessun governo che non abbia l’appoggio del Pd”. La posizione di Bianchi è la cartina di tornasole di come i dirigenti nazionali del Pd abbiano preso il terremoto messo a punto dai loro omologhi siciliani. Da Roma dunque l’obbiettivo è ricucire i rapporti tra i democratici siciliani e Crocetta, che nella capitale sembra godere ancora di credito. Il governatore scaricato dal Pd siciliano ha continuato fino ad oggi a tenersi lontano da Palermo. Da Catania, dove continua a seguire le condizioni mediche degli uomini della sua scorta coinvolti in un incidente, fa sapere di non aver intenzione di riagganciare i contatti col suo partito. “Io dovrei chiamarli? No, chi lo pensa allora non mi conosce. Non posso entrare in questi giochi di potere, la verità è che tra me e loro c’è un problema di linguaggio, di comunicazione”.
A Palazzo dei Normanni, intanto, il caos regna sovrano. Il Movimento Cinque Stelle ha in serbo già da settimane una mozione di sfiducia contro Crocetta, e lo stesso Nello Musumeci, leader della destra sconfitto alle elezioni, rimane alla finestra in attesa che il governo dell’ex sindaco di Gela naufraghi definitivamente. Un’ipotesi che non è per nulla scontata. Se in teoria è vero che oggi Crocetta non avrebbe più la maggioranza in parlamento regionale, è vero anche che troppo spesso Palazzo dei Normanni ha assunto le sembianze di un vero e proprio mercato di voti e deputati. In seno agli stessi democratici, oltre agli assessori, iniziano infatti a sfilarsi altri esponenti di partito. Il primo è stato Fabrizio Ferrandelli, neo leader della corrente di Matteo Renzi all’Ars, che già in mattinata ha utilizzato l’inglese per andare incontro al governatore, non allontanandosi troppo dal suo partito. “Stabiliamo una road map tutti insieme – ha detto mimando il lessico british del sindaco di Firenze – Facciamo una road for peace and change, una tabella di marcia per la pace e soprattutto per il cambiamento”.
Non parla inglese ma volge lo sguardo comunque all’estero Marco Forzese, eletto deputato dell’Udc, inserito nella lista dei cosiddetti candidati impresentabili in campagna elettorale per un’indagine sulle promozioni facili al comune di Catania, che per garantire l’appoggio a Crocetta guarda invece addirittura alla Spagna. “È arrivato il tempo – ha detto il deputato fondatore del movimento Democratici e Riformisti – di creare un modello simile a quello della Catalogna che prevede sì la presenza dei partiti nazionali in Sicilia, ma in una logica di confronto con un grande partito regionale che insieme possiamo rappresentare”. E anche dall’opposizione arrivano segnali di apertura nei confronti di Crocetta. Il deputato del Pdl Vincenzo Vinciullo, per esempio, guarda al governo Letta, proponendo immediatamente un “patto istituzionale tra partiti per salvare la Sicilia dal default”: una sorta di governo delle larghe intese con il presidente del Pd, sostenuto da Udc, Pdl e vari deputati apolidi in ordine sparso. Senza, però, l’apporto degli stessi democratici che, dopo aver appoggiato Raffaele Lombardo fino alla vigilia delle dimissioni, adesso hanno scaricato il primo presidente di centro sinistra eletto in Sicilia. Come dire che dopo anni di strapotere del Pdl e di Totò Cuffaro, a sinistra abbiano dimenticato ad amministrare le vittorie.
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