L’idea è quella di raccontare soprattutto ciò che c’è stato dopo il 9 ottobre 1963. Per questo il sottotitolo del loro lavoro è #ondalunga in occasione dei 50 anni di distanza dalla più grande strage di civili causata dall’uomo in tempo di pace, uno dei progetti più interessanti e meno retorici sul disastro del Vajont nasce a Modena e in questi giorni sbarca sul web. Si tratta di una serie di brevi interviste con i sopravvissuti della più grande tragedia italiana in tempo di pace, realizzate dalle Officine Tolau, il gruppo di tre giornalisti con base in Emilia che da alcuni anni raccontano l’Italia telecamera in spalla. L’ultimo lavoro nasce in famiglia: “I miei due colleghi, Davide Lombardi e Stefano Aurighi, sono originari di Vittorio Veneto”, spiega al fattoquotidiano.it Paolo Tomassone, giornalista oltre che per le Officine Tolau anche per l’agenzia di stampa Tm News. “La mamma di Stefano è una superstite. Lavorava alla posta di Longarone, era incinta nell’ottobre ’63 e proprio per questo quella sera invece di rimanere a dormire lì è tornata a Vittorio Veneto e si è salvata. Due anni fa ha iniziato a parlare con suo figlio di quei giorni, si è fatta registrare e riprendere. Così abbiamo capito che avremmo voluto fare il documentario”.

Da alcuni giorni frammenti delle interviste sono già online. Quotidianamente vengono inserite nuove puntate e così andrà avanti per qualche mese. “E’ solo l’inizio del nostro progetto, il documentario integrale lo produrremo l’anno prossimo. Adesso vogliamo pubblicare solo alcune interviste per tenere vive le testimonianze su alcuni temi. Ovviamente nelle prossime settimane andremo là in occasione dell’anniversario a raccogliere altre voci”. I ragazzi delle Officine Tolau vogliono arrivare alla gente comune, quella che conosceva e salutava per strada qualcuno tra i duemila morti del Vajont. “Anche il maresciallo dei carabinieri di Longarone aveva paura – ricorda la madre di Davide Lombardi nella sua intervista – Lo ricordo quando veniva all’ufficio postale a ritirare lo stipendio per gli uomini della caserma. La barista invece aveva la mia età e impietosita dal mio pancione mi permetteva di andare a riposarmi sopra il bar al pomeriggio. Ora sono tutti morti”. L’obiettivo è raccogliere più testimonianze possibili: “Abbiamo già intervistato una ventina di persone in vari comuni: Erto, Casso, Longarone, Vajont e vorremmo dare l’opportunità a chi lo volesse di contattarci per farsi intervistare”, spiega Tomassone.

Tra gli intervistati c’è Luigi Rivis, uno dei pochi che ha visto l’onda abbattersi su Longarone e può ancora testimoniare. “Sono rimasto là col bambino in braccio, indeciso se guardare l’onda o scappare. Era come una lama di luce illuminata dalla luna nascente”. Come la maggior parte dei sopravvissuti di quella sera, Rivis si è salvato per una coincidenza che lo ha tenuto lontano dal luogo in cui si sarebbe dovuto trovare: il giorno dopo doveva fare una lezione e non è salito con i suoi colleghi, che non ha mai più rivisto, su agli impianti della diga.

Tra le vicende del ‘dopo’ quella del macellaio Bepi Vazza è una delle più incredibili. A lui, pochi mesi dopo il disastro, l’Enel – proprietaria della diga e responsabile della tragedia – taglia la corrente elettrica del negozio perché non ha dato la disdetta dei contatori che erano stati spazzati via dall’onda. L’intervista a Micaela Coletti, allora bambina e salva per miracolo sotto il fango, racconta invece di come oltre 30 anni dopo trovò il coraggio di parlare coi suoi figli di quello che aveva vissuto: “C’è voluto lo spettacolo di Marco Paolini per farmi intuire di più. Fino ad allora ero sempre stata convinta che fosse stato un disastro naturale. Quel giorno ho capito che non era così”.

Tra le voci più interessanti raccolte, a fare fa da filo conduttore del lavoro delle Officine Tolau è quella di Lucia Vastano, una delle più importanti studiose del disastro, soprattutto attenta agli sviluppi degli anni successivi, quelli della ricostruzione e degli sciacalli arrivati nella valle del Piave: obiettivo di industrie e affaristi senza scrupoli era sfruttare la legge Vajont, creare imperi industriali comprando a prezzi stracciati le licenze dai superstiti sopravissuti e accaparrarsi in questo modo finanziamenti miliardari. Così è nato, anche grazie a questo genere di speculazioni, il cosiddetto miracolo del Nordest. Sul tema le Officine Tolau hanno intervistato anche Italo Filippin, ex sindaco di Erto, uno dei paesi a monte della diga, che ricorda la gestione delle licenze post-catastrofe, in cui emerge anche la figura di un intermediario successivamente coinvolto nell’affare P2. “Le cose peggiori – dice nell’intervista – noi le abbiamo viste dopo”.

Prima del lavoro sul Vajont le Officine Tolau hanno realizzato altri progetti: il più importante alcuni anni fa è stato il documentario Occupiamo l’Emilia che ha raccontato il periodo d’oro della Lega nord nella regione rossa. Poi nel 2011 il documentario A furor di popolo, dedicato al raduno del Movimento 5 stelle a Cesena nel settembre 2010. Quando ancora nessuno credeva al boom elettorale del 2013.

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