Cantautore calabrese trapiantato a Bologna, Federico Cimini presenta in anteprima sul sito del Fatto Quotidiano il video di “Ti amo terrone”, brano contenuto nel suo disco d’esordio intitolato L’importanza di chiamarsi Michele. “In genere il terrone è il personaggio del sud Italia, emigrato al nord, un po’ ignorante, ‘tamarro’, con la catena d’oro al collo, le sopracciglia unite, o troppo chiuso o troppo espansivo, dai modi goffi come quando Totò e Peppino vanno a Milano nel film Totò, Peppino e la malafemmina. E questa, purtroppo, è la definizione accettata in linea di massima dall’immaginario collettivo: si tratta, di certo, di un eroe negativo, di un discriminato, di un ‘ultimo della lista’ e, paradossalmente, in alcuni casi, gli viene dato rispetto solo se appartiene alla criminalità organizzata. Insomma, dire ‘terrone’ a qualcuno non viene preso come un complimento. Ti amo terrone, forse, è nata dalla difficile speranza di vivere in un Paese più unito. E’ una canzone che non rappresenta uno sfogo personale, piuttosto credo che sia una riflessione ovvia e scontata sulla condizione di noi italiani, sulla nostra capacità di dividere, stereotipare, giudicare”.
“Mi reputo una persona abbastanza coerente e in questa canzone non ho voluto esaltare la figura del ‘terrone’ – ci racconta Federico Cimini – facendola apparire come un modello di vita da seguire: io vivo a Bologna ma sono calabrese, nato e cresciuto nella mia terra, tra la mia gente, e conosco bene la mia realtà, e devo ammettere che il ‘terrone’ è pieno di difetti, basta solo pensare al fatto che accetta di vivere nella zona più arretrata dell’Italia senza fare niente per cambiare la propria condizione. Ad esempio, per colpa dei tagli alla sanità, molti lavoratori in Calabria vivono da mesi senza stipendio e tuttora si va avanti come se nulla fosse accaduto, anzi, scendendo spesso a compromessi per avere una sopravvivenza garantita.
Però il ‘terrone’ è anche pieno di pregi: è una persona che vive di sacrifici, di affetti, disposto a emigrare perché nel suo sud non c’è rimasto più niente, è un sognatore, un amante della vita, un amante della speranza. Quindi pregi e difetti. E di fronte ai pregi e ai difetti mi è venuto da pensare che questa ‘riflessione’ non può essere circoscritta esclusivamente al ‘terrone’ del sud, è una definizione che sta logisticamente stretta: ognuno di noi scende a compromessi, accetta di vivere in una realtà più arretrata di altre e non fa nulla affinché cambi questa società da incubo nella quale ci ritroviamo. Per questo ritengo che ognuno è terrone di e per qualcun altro: che ci piaccia o no, noi italiani siamo tutti terroni, pieni di pregi e difetti. Ti amo terrone vuole essere un inno ironico alla speranza e al futuro: a partire dal mio sud ingiustamente discriminato fino ad arrivare al nord più estremo, in un percorso culturalmente vario, ma complementare. Il nord senza il sud non esisterebbe, e viceversa. Per riuscire a perseguire questa morale, abbiamo deciso, insieme al regista Michele David, di girare il videoclip a Milano. Se essere ‘terroni’ è ciò che veramente accomuna noi italiani, allora un terrone a Milano diventa una cartolina di luoghi comuni ma con un’attitudine semplice e solare. Senza trucchi o sorprese. Sentendosi sempre a casa”.
C’è stato un evento particolare che ti ha indotto a scrivere questo brano?
Come molte delle mie canzoni, il sentimento principale che mi ha spinto a scriverla è stato la rabbia scaturita da varie esperienze del quotidiano che hanno creato in me indignazione. In particolare, è stata scritta nel luglio di due anni fa, dopo aver appreso la notizia che durante i festeggiamenti della squadra di calcio del Verona, l’allenatore e, di seguito, la curva avevano intonato, storpiandone evidentemente il significato, la canzone degli Skiantos Italiano terrone che amo che nel ritornello dice, appunto, ‘ti amo terrone’. Questo episodio di ‘razzismo disimpegnato’, quasi dovuto e naturale, mi ha fatto riflettere molto sull’ignoranza che siamo capaci di raggiungere in determinate occasioni.
Episodi di questo genere di razzismo vissuti in prima persona?
Personalmente non ricordo episodi del genere vissuti in maniera diretta. Una volta sola ho subito un fenomeno ai limiti dell’assurdo, il ‘razzismo terrone’, ovvero, sono stato criticato in maniera un po’ cruda perché nel mio album ho parlato anche dei valori del sud e della mia terra in particolare, però non avrei potuto farlo perché vivo a Bologna e quindi io avrei ‘sfruttato il meridione’ per fini personali. Ho subìto una sorta di leghismo del sud. C’è però un episodio secondo me emblematico. Uno di quei momenti che durano pochi secondi, il tempo di un’affermazione, e che ti rimbombano in testa creando il leit motiv della tua filosofia di vita. Ricordo che qualche anno fa, durante un talk show politico, l’attuale presidente della Regione Piemonte ha fatto questo esempio: ‘Se vengono da me a cercare lavoro un infermiere calabrese e uno piemontese, mi pare ovvio che io debba dare spazio al mio corregionale’. Questa frase che passò abbastanza inosservata, è tuttora dentro di me, anzi, giudico affermazioni del genere come la forma più facilmente comprensibile di mentalità gretta, di mentalità che non appartiene a me e che non dovrebbe appartenere a nessuno: è tanto difficile pensare che siamo tutti italiani?