Cronaca

“Papi-girl” non è un appellativo diffamatorio. Giornalisti assolti ad Avellino

Il Gup di Sant'Angelo dei Lombardi ha rigettato la querela sporta da Emanuela Romano, ex assessore a Castellammare di Stabia e cofondatrice del club 'Silvio ci manchi' con Francesca Pascale. La Romano aveva denunciato l'uso del termine in un articolo del quotidiano Metropolis

Papi Girl è ormai parte del lessico politico e giornalistico. E definire Papi girl una giovane e bella ragazza che ha fatto carriera in politica nel Pdl dopo aver frequentato feste e ville di Silvio Berlusconi non è diffamazione “ma giudizio di espressione di una critica politica”. Lo afferma il Gup di Sant’Angelo dei Lombardi (Avellino) Fabrizio Ciccone nella sentenza con la quale ha rigettato la querela presentata dall’ex assessore azzurra alle Politiche Sociali di Castellammare di Stabia (Napoli), Emanuela Romano, cofondatrice insieme alla partenopea Francesca Pascale in un’era ormai lontana del frizzante comitato tutto al femminile ‘Silvio ci manchi’, e fotografata in compagnia della fidanzata di Berlusconi nel novembre 2006 mentre scendevano da un volo privato atterrato a Olbia, dirette alla volta di Villa Certosa.

Prosciolti “perché il fatto non sussiste” il direttore del quotidiano stabiese Metropolis, Giuseppe Del Gaudio, e il giornalista Giovanni Santaniello, autore dell’articolo “La Papi girl finisce alla sbarra”, entrambi difesi dagli avvocati Vincenzo Propenso e Luca Sansone. Erano stati querelati per aver pubblicato una notizia anticipata su ilfattoquotidiano.it: il rinvio a giudizio della Romano accusata di aver attestato falsamente di non avere incarichi in giunta al momento di presentare la domanda per concorrere al Corecom, nomina poi ottenuta. 

La Romano si era arrabbiata soprattutto per quell’appellativo, Papi-girl, che proprio non digerisce: i suoi avvocati avevano già inviato una diffida per un precedente articolo: “Bobbio, ecco la giunta. C’è anche una Papi girl’. In otto pagine di motivazioni il giudice ricostruisce genesi e significato dell’espressione ‘papi girl’, inserita nel “Dizionario semiserio delle 101 parole che hanno fatto e disfatto la Seconda Repubblica” pubblicato da Lorenzo Pregliasco per Editori Riuniti. Dall’intervento di Veronica Lario che bollò come “ciarpame senza pudore” l’imminente inserimento nella lista Pdl per le europee del 2009 di ragazze scelte solo per la loro avvenenza fisica. Al depennamento dalla lista di numerose candidate dopo quelle parole e le polemiche che suscitarono, tra cui la Romano. Fino all’intervista a Noemi Letizia, la ragazza di Portici che festeggiò i suoi 18 anni con una festa in un locale di Casoria alla quale partecipò Berlusconi: “Sosterrò Papi fino alla morte. Lo chiamo presidente, ma qualche volta mi scappa Papi”.

Conclusioni: “Il Tribunale osserva che con l’espressione giornalistica Papi-girl, di cui si duole la parte offesa, si vuole indicare quel gruppo di giovani e belle ragazze che negli ultimi anni sono balzate agli onori della cronaca per avere intessuto rapporti di amicizia e di frequentazione con l’ex Presidente del Consiglio Berlusconi, e che in alcuni casi hanno rivestito importanti cariche nelle istituzioni, locali e nazionali, spesso contraddistinguendosi per una forte identificazione personale e politica nella figura del Presidente Berlusconi”.

Nella querela la Romano si è lamentata del titolo e di alcune considerazioni riportate nell’articolo. Metropolis scrisse che la sua fortuna politica dipese “dalla presenza a Villa Certosa in compagnia dell’allora premier Berlusconi” dal quale avrebbe ricevuto “la promessa di essere inserita nella lista Pdl per le europee”. E dopo il tentativo di suicidio del padre, che minacciò di darsi fuoco sotto Palazzo Grazioli per la mancata candidatura della figlia, “nel 2010 (la Romano, ndr) fu ricompensata con una poltrona nella giunta Pdl a Castellammare” anche perché “la pupilla di (nell’ordine di importanza) Berlusconi, Cosentino, Cesaro e Bobbio (all’epoca sindaco di Castellammare, ndr)”. Passaggi che secondo il giudice non hanno portata diffamatoria: un mix di notizie vere, tesi non del tutto implausibili, libera manifestazione del pensiero su rilevanti vicende politiche e di interesse pubblico. Di qui il proscioglimento, nonostante la richiesta di rinvio a giudizio del pm.